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Giuseppe Bottero per “la Stampa”
Due anni di fila con il segno meno, dopo la guerra, non s’erano mai visti. E le previsioni per il 2014 non sono certo rosee. L’Istat fotografa il carrello degli italiani, e il risultato è desolante: le famiglie, nel 2013, hanno speso in media 2.359 euro al mese, il 2,5% in meno rispetto al 2012. I consumi tornano così indietro di dieci anni, e in una casa su due scendono sotto i 2000 euro.
I risparmi hanno colpito tutte le classi di spesa, e anche i più ricchi sono stati meno propensi ad aprire il portafogli: le ultime due fasce considerate dall’istituto di statistica, che rappresentano il 20% delle famiglie più benestanti, hanno tagliato, rispettivamente, dello 0,6% e dell’1,6%. I sacrifici però sono stati più duri per i nuclei a basso livello di consumo: soprattutto le coppie con due figli (-4,4%) e le famiglie operaie (-5,9%) che spendono 2.192 euro, oltre 1400 euro in meno di quelle di imprenditori e professionisti. Anche nel carrello l’Italia si conferma un paese spaccato: in Trentino-Alto Adige lo scontrino è lungo il doppio rispetto alle regioni fanalino di coda, Sicilia, Calabria e Sardegna.
Non stupisce, a fronte di questi dati, il cambiamento delle abitudini a tavola che vede il 65% delle famiglie ridurre la qualità o la quantità del cibo comprato e sempre più consumatori rivolgersi agli hard discount. In generale, spiega l’Istat, la spesa alimentare resta «sostanzialmente stazionaria», nonostante il crollo degli acquisti di carne (-3,2%), e assorbe quasi un quinto delle uscite per consumi. Gli altri settori invece perdono il 2,7% e vedono le contrazioni più forti per l’abbigliamento e le calzature (-8,9%), il tempo libero e la cultura (-5,6%) e le comunicazioni (-3,5%).
«Le aziende sono di fronte a un cambiamento rilevante. Se il mercato resta fermo, la concorrenza diventa spietata» dice Francesco Daveri, docente di economia all’Università Bocconi. «I paradigmi - spiega - si sono trasformati: la crescita in passato era la regola, ora i gruppi devono accelerare per avere qualcosa in più dei concorrenti o inserirsi in nicchie nuove».
In termini reali, calcola l’Ufficio Studi di Confcommercio, la riduzione dei consumi riporta il livello della spesa indietro di 20 anni, sotto i valori del 1993, e il 2014 «non dovrebbe far segnare una rilevante inversione di tendenza».
Eppure qualche schiarita c’è. Lo scorso il weekend, il primo di saldi, gli outlet hanno fatto il pienone: traffico paralizzato a San Donà di Piave e Barberino del Mugello, 30mila visitatori in un giorno a Castel Romano, dove il giro d’affari, rispetto all’anno scorso, fa segnare una crescita a doppia cifra. Segno, ragiona Daveri, che la voglia di qualità, soprattutto se a bassissimo prezzo, c’è.
Ma attenzione: il boom significa pure che le grandi marche stanno rafforzando la loro presenza nelle cittadelle dei super-sconti, visto che la coda davanti alle boutique è solo un ricordo. La fiumana nelle vie dei templi dello shopping si è vista soprattutto al Nord. «Il primo fine settimana di saldi si è concluso con un aumento delle presenze del 16,2% e del fatturato del 12,8%», spiega Giacomo Caramelli, responsabile marketing di Mondovicino. Acquisti in crescita dell’11% anche a Vicolungo The Style Outlets. «Ma è difficile - ragiona Laura Andreoletti, country manager di Neinver - dire se ci sia una connessione tra il trend positivo di questi primi giorni di saldi e gli 80 euro che alcuni italiani si sono trovati in busta».
 
						
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