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Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
Nemmeno il tempo di prendere possesso dei nuovi uffici a via Nazionale e subito si sono trovati sommersi dai primi, scottanti dossier sulle crisi bancarie. Sono 19 in tutto i fascicoli che i 37 neosceriffi della vigilanza di Banca d’Italia devono passare al setaccio: si tratta di 15 istituti di credito e quattro intermediari finanziari che da lunedì sono sotto la «giurisdizione» dell’Unità di risoluzione e gestione delle crisi:
la task force, diretta da Stefano De Polis e dal suo vice Pier Luigi Conti, è stata appena istituita sulla base della direttiva dell’Unione europea che ha introdotto il meccanismo del bail in, vale a dire il principio che, in caso di crac di un istituto, impone un contributo di azionisti, obbligazionisti e (in ultima istanza) dei correntisti con depositi superiori a 100.000 euro.
Le nuove regole sostituiscono le vecchie norme che di fatto chiamavano in causa uno Stato per i salvataggi bancari (bail out). Il bail in girerà a pieno regime da gennaio 2 016, ma già da ora le banche commissariate passano sotto la «tutela» della supersquadra di Bankitalia.
Nell’elenco pubblicato sul sito dell’istituto centrale risultano: Istituto per il credito sportivo, Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Bcc Irpina, Cassa di risparmio di Loreto, Banca popolare dell’Etna, Banca padovana credito cooperativo, Cru di Folgaria, Credito trevigiano, Banca popolare delle province calabre, Cassa di risparmio della provincia di Chieti, Banca di Cascina, Bcc Banca Brutia, Bcc di Terra d’Otranto, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio); oltre ?alle 15 banche, ci sono quattro soggetti non bancari e si tratta di Medioleasing, Commercio e finanza, EstCapital sgr e poi Prisma sgr.
Sono banche vicine al fallimento e i clienti devono preoccuparsi per i loro risparmi? No. Non risultano, al momento, pericoli imminenti. Nei prossimi mesi, tuttavia, gli uomini guidati da De Polis e Conti dovranno valutare vari aspetti ed eventualmente attivare le procedure di risoluzione previste dalle norme europee. Prima di svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare una banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali, la task force di via Nazionale ha tre alternative: «vendere una parte dell’attività a un acquirente privato; trasferire temporaneamente le attività e passività a un’entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato; trasferire le attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli».
Gli occhi sono puntati, in particolare, sulla Popolare Etruria, che fino a pochi mesi fa aveva, come vicepresidente, Pierluigi Boschi, padre di Maria Elena Boschi, attuale ministro per le Riforme nel governo di Matteo Renzi. La vicenda dell’istituto, ora formalmente commissariato, sarà risolta il prossimo anno e fra gli addetti ai lavori si dà per certa le perdita secca (forse integrale) dei vecchi azionisti.
Tra i nodi da affrontare, quello degli obbligazionisti a cui probabilmente sarà chiesto un contributo, magari minimo. La scelta finale sarà legata anche alle mosse del Fondo interbancario di tutela dei depositi che «copre» i conti fino a 100.000 euro. Nei giorni scorsi, in effetti, il Fondo è stato al centro di indiscrezioni: i grandi gruppi, come Intesa e Unicredit, potrebbero utilizzarlo come veicolo per salvare le banche che viaggiano verso il default. Si parla di una fiche da 1,5 miliardi di euro destinata, in prima battuta, a fare da paracadute a Banca Marche e proprio all’Etruria.
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