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Vittorio Malagutti per Il Fatto Quotidiano
Approda in Lussemburgo il caso Giacomini. Nelle prossime settimane i sostituti procuratori di Milano, Giordano Baggio e Stefano Civardi potrebbero già ricevere dai loro colleghi lussemburghesi alcune risposte alla rogatoria avviata prima delle ferie. In sostanza, i pm puntano ad aprire la cassaforte della Sociétè Europèenne de Banque (Seb), l'istituto del Granducato di cui erano grandi clienti gli imprenditori novaresi Giacomini, sospettati di una frode fiscale da oltre 200 milioni di euro. Sui conti della Seb sono stati depositati i soldi esportati illegalmente all'estero dalla ricca famiglia piemontese. Ed è attorno alla Seb che ruotano gli affari al centro dell'indagine della procura.
Si scrive Seb, ma si pronuncia Intesa. Già , perché la grande banca italiana controlla al 100 per cento quella che di fatto è la sua filiale lussemburghese. Una filiale che "gode di ampia autonomia operativa", si sono affrettati a precisare dal quartier generale di Milano dopo che il Fatto Quotidiano ha dato notizia delle indagini dei pm. Come dire: non sappiamo nulla degli affari con i Giacomini e quindi siamo all'oscuro di eventuali irregolarità . La questione è doppiamente delicata. E non solo perché chiama in causa i poteri (e i doveri) di controllo della casa madre sulla propria controllata.
L'indagine nata a Verbania, in Piemonte, e poi in parte trasferita a Milano per competenza territoriale, abbraccia un arco di tempo che va dal 2008 al 2011. E in quel periodo a capo di Intesa c'era Corrado Passera, ora ministro dello Sviluppo economico nel governo Monti. Anche a Passera, quindi, conviene farsi scudo della cosiddetta "ampia autonomia" della controllata.
E a questo punto a vestire i panni del presunto colpevole resterebbe il solo Marco Bus, il numero uno della Seb finito nel registro degli indagati per concorso in riciclaggio. Ci sono alcuni fatti concreti, fatti documentati, che autorizzano quantomeno qualche dubbio sulla versione autoassolutoria dei vertici di Intesa (e di Passera).
Vediamo. A fine dicembre del 2008, la Seb concede un prestito di 129 milioni ai tre fratelli Andrea, Corrado ed Elena Giacomini. Gli ultimi due, accusati di frode fiscale, sono da un mese in libertà dopo l'arresto dei primi di maggio. Andrea invece, estromesso dalla gestione aziendale, ha deciso di collaborare con gli inquirenti dopo che nel 2010 l'Agenzia delle Entrate ha aperto una propria indagine.
Come garanzia di quel finanziamento, la banca chiese, e ottenne, gran parte del denaro nero, cioè il tesoretto di 200 milioni, depositato sui conti Seb. Possibile che a Milano, alla sede di Intesa, non sia arrivata neppure l'eco di un'operazione per un importo tanto rilevante?
D'altra parte ai piani alti di Intesa conoscevano bene i Giacomini. La conferma arriva da una serie di documenti che riguardano il riassetto societario del gruppo che fa capo alla famiglia novarese, un gruppo di fama mondiale nel settore delle rubinetterie.
Ebbene, dalle carte che illustrano una serie di fusioni societarie varate nel 2009, emerge che Intesa ha fatto da sponda a tutta l'operazione garantendo linee di credito per decine di milioni di euro. Dunque, la filiale lussemburghese ha dato ai Giacomini (persone fisiche) la bellezza di 129 milioni. In quegli stessi mesi è partita una riorganizzazione societaria finanziata sempre da Intesa.
Possibile che Milano non sapesse quello che faceva Lussemburgo, quando entrambi davano soldi agli stessi soggetti? Ed è credibile che al quartier generale di Intesa non si siano fatti nessuna domanda sulla natura e la provenienza del denaro che i Giacomini mettevano a garanzia dei prestiti?
Per completare il quadro va segnalato un altro fatto. Il denaro del tesoretto in nero era stato investito in prodotti finanziari della banca milanese. Per esempio, erano state comprate quote (per svariati milioni di euro) di alcune Sicav, che sono fondi comuni di diritto lussemburghese. Come è ovvio il gruppo Intesa incassava laute commissioni dalla vendita e dalla gestione di questi prodotti.
E la banca, a quanto risulta dalle carte d'indagine, non era l'unica a guadagnarci. I manager della Sicav, cioè il fondo targato Intesa, hanno infatti messo a libro paga alcuni consulenti. E fin quindi tutto nella norma. Succede spesso che le società di gestione si affidino ad esperti esterni particolarmente qualificati.
Le Sicav di Seb hanno scelto come consulente la società italiana Rmj, una sigla pressoché sconosciuta anche agli addetti ai lavori. Questa scelta appare per molti aspetti sorprendente. La sorpresa diminuisce se si tiene conto che Rmj è controllata dalla famiglia Jelmoni. Alessandro Jelmoni è il broker arrestato a maggio (ora è ai domiciliari) con l'accusa di aver ideato la frode fiscale per conto dei Giacomini.
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