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Camilla Conti per “il Giornale”
Altro che Jp Morgan e Renzi, a dettare gli schemi di gioco sul salvataggio del Monte dei Paschi - nonchè sulla delicata partita dello smaltimento delle sofferenze cui è appeso il futuro dell'intero sistema bancario - sembrano essere ormai il numero uno dell'Acri e di Cariplo, Giuseppe Guzzetti, e il presidente emerito di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli. Con il «capitano» Alessandro Penati che guida la squadra del fondo Atlante sul campo degli npl. E con la sponda esterna del gran capo della Bce, Mario Draghi.
Vediamo perché, partendo dall'epicentro senese. Ieri il cda di Mps ha iniziato a esaminare il piano industriale che dovrà essere approvato nella riunione del 24 ottobre, in tempo per convocare l'assemblea straordinaria il 18 novembre e lanciare la ricapitalizzazione fino a 5 miliardi all'inizio di dicembre, subito dopo il referendum in calendario domenica 4. Nell'attesa, i consiglieri hanno confermato all'unanimità, dopo averli verificati, i requisiti di professionalità e onorabilità del nuovo ad, Marco Morelli. E hanno anche affidato a Antonio Nucci le cariche di vicedirettore generale oltre che di chief commercial officer.
Nucci avrà il timone delle direzioni retail, della rete e a suo riporto la direzione Corporate e investment banking. Il manager, inoltre, coordinerà la banca online Widiba, Mps Capital Services, Mps Leasing & Factoring, Montepaschi Fiduciaria e le controllate estere. E da dove arriva Nucci? Da Intesa dove è stato anche tra i fautori del turnaround del Banco di Napoli con l'incarico di direttore generale. Il futuro del Monte è inoltre legato allo smaltimento delle sofferenze.
Che ora è nelle mani dell'Atlante, cui fa da regista Guzzetti. Il fondo, chiamato a sottoscrivere una tranche di quelle senesi, «è già pronto», ha detto ieri Penati confermando l'investimento di 1,6 miliardi a un prezzo pari al 33 per cento. Non solo. Giovedì sera il presidente dimissionario Massimo Tononi avrebbe ricevuto un nuovo piano dall'ex ad di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, che si era già fatto avanti invano lo scorso 29 luglio quando al timone c'era ancora Fabrizio Viola.
Da Siena al Nordest: Atlante controlla anche Popolare di Vicenza e Veneto Banca. «Finalmente abbiamo messo in stabilità queste due banche. Non vorremmo che qualcuno lanciasse allarmi che spaventano gli investitori. Non c'è nessuna preoccupazione, la liquidità non è un problema», ha replicato l'economista alle indicazioni giunte giovedì da Moody's sui rischi per gli istituti da un eventuale «no» al referendum costituzionale.
Passando per Brescia, «feudo» storico del professor Bazoli, dove il cda di Ubi ha approvato la nascita della banca unica di gruppo attraverso l'incorporazione di sette controllate. L'istituto è in corsa per rilevare le quattro good banks (Etruria&c) ma ieri l'ad Victor Massiah ha ribadito che «non siamo qui a salvare nessuno, valutiamo operazioni di creazione di valore». Piuttosto, Massiah è sembrato rilanciare su Bpm: «Non abbiamo mai nascosto il nostro interesse ma questo non significa che siamo in una posizione di gufo», ha detto riferendosi all'assemblea dell'istituto di Piazza Meda che oggi dovrà votare le nozze con il Banco Popolare.
Nel frattempo, il titolo Mps ieri ha chiuso la seduta a Piazza Affari in leggero rialzo (+0,23%) ma ancora attorno ai 17 centesimi. Ovvero il 66,6% in meno rispetto ai 51 centesimi segnati il 20 gennaio quando Matteo Renzi aveva dichiarato che il Monte «a questi prezzi è un affare». Chi aveva seguito il consiglio del premier, investendoci per esempio mille euro, oggi ne ha solo 334.
In termini di capitalizzazione, il 20 gennaio Mps valeva 1,6 miliardi. Oggi meno di 502 milioni. E il report sul referendum renziano diffuso giovedì dagli analisti di Mediobanca - che guida insieme a Jp Morgan il consorzio di pre-garanzia all'aumento - non aiuta. Per recuperare le perdite chi ha scommesso sui titoli del Monte può solo sperare che lo schema «Guzzetti-Bazoli-Penati» funzioni.
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