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Marco Zatterin per "La Stampa"
Tutto cambia e nulla cambia. Fra Roma e Bruxelles continua il palleggio di cifre e promesse, si svelano provvedimenti, si cambiano i nomi e la fisionomia delle tasse, ma alla fine il dato che il commissario all'Economia, Olli Rehn, ripete con coerenza da metà novembre è uno.
Lo sforzo strutturale richiesto all'Italia per essere in regola con quello che le nuove regole indicano alla voce «debito che rientra» è di 0,4 punti di pil, ovvero 6 miliardi. Senza di questo, non si potrà guadagnare il titolo di paese virtuoso e dunque accedere all'ambito sconto di deficit per i nuovi investimenti produttivi.
Il finlandese dà tutto ciò per scontato e farebbe a meno di dirlo, soprattutto da che ha annunciato l'intenzione di volersi candidare per il voto europeo di maggio e magari anche alla guida della Commissione, doppia circostanza che ha avviato il fuoco incrociato della politica sulla sua persona.
A domanda, però, risponde. Così ieri il suo portavoce, Simon O'Connor, ha ripetuto che «l'Italia è più o meno in linea per quanto riguarda l'obiettivo di deficit». E che occorrono «sforzi pari allo 0,4% del pil in termini di bilancio», cioè «con supplemento di misure che bisognerebbe fare per assicurare di essere in linea con il criterio del debito nel 2014». E' il medesimo concetto espresso nelle due conferenze stampa del 15 e il 22 novembre.
Bruxelles tiene insomma la linea, e capisce le difficoltà del governo italiano, in balia dei capricci della politica. Quando la Commissione Ue ha dovuto sfilare il premio produttivo al Bel Paese si è basata su una Legge di Stabilità ancora in stato embrionale. Poi Letta e Saccomanni hanno messo sul banco la spending review, disegnato le privatizzazioni e messo in cantiere l'operazione quote di Bankitalia.
Il ministro dell'Economia ha detto che questo avrebbe riccamente coperto il divario. Rehn ha risposto «speriamo», ricordando di essere uno «scettico realistico» nei confronti di tutti i governi Ue. Dato quindi per scontato lo 0,4% che Rehn opporrà a chi chiederà lumi sull'esigenza di correzione italiana, almeno sino a che non sarà convinto che la situazione richiede qualcosa di meno, il problema che corre sul filo fra Roma e Bruxelles è un altro.
Riguarda il calendario più che i conti pubblici. Per questione di omogeneità di valutazione nell'ambito dei compiti del «semestre europeo» che i governi le hanno affidato, la Commissione vorrebbero vedere l'intero piano di misure italiane insieme con Legge di Stabilità 2014 (di cui non è stata chiesta la riscrittura formalmente).
Da questo dipende il verdetto di inizio febbraio, da una valutazione su elementi omogenei. Vuol dire che, secondo Bruxelles, il governo dovrebbe mettere tutto insieme, per quanto difficile sia (e questo Rehn lo sa benissimo). A Roma c'è la volontà di usare percorsi diversi, da una lato la manovra, dall'altro i tonificanti provvedimenti aggiuntivi. Legittimo.
Ma questo, letto con gli occhi contrattualmente scettici di Bruxelles, potrebbe finire per essere un cattivo auspicio. Soprattutto se i conti non vanno esattamente come previsto: lo stesso Tesoro ieri ha fatto sapere che nei primi dieci mesi del 2013 il gettito Iva è calato del 3,9% (-3,4 miliardi).
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