LA MELA PRESA A MORSI DAL FISCO USA: “EVADE UN MILIONE ALL’ORA”, MA AL SENATO TIM COOK NEGA

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Alessandra Farkas per "Il Corriere della Sera"

«Abbiamo pagato tutte le tasse dovute, ogni singolo dollaro. Non ricorriamo a trucchetti fiscali». Lo ha affermato l'amministratore delegato di Apple, Tim Cook, nel corso dell'audizione che si è tenuta ieri davanti alla sottocommissione permanente d'indagine del Senato per far luce sulla presunta, colossale frode fiscale perpetrata dal colosso californiano che grazie all'iPhone ha intascato 41.7 miliardi nel 2012, contendendo alla Exxon Mobil il primato di compagnia più profittevole al mondo.

Un rapporto di 40 pagine del Senato appena pubblicato accusa Apple di aver eluso tasse per 74 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2012, attraverso una «complessa rete di entità all'estero, senza dipendenti né sedi effettive». «Un'evasione da 25 milioni di dollari al giorno, o più di un milione all'ora», secondo gli investigatori che hanno puntato il dito contro la sua sede in Irlanda, da cui Apple gestisce le operazioni in Europa, Africa, Medio Oriente, India e Asia.

L'Irlanda pratica per le aziende aliquote più basse degli Stati Uniti, il 12% contro il 35% degli Usa. Ma la normativa irlandese prevede che una società sia residente nel Paese solo se è gestita e controllata in loco. Così, visto che le filiali di Apple non hanno dipendenti e sono gestite da top manager da Cupertino, Apple è riuscita a risultare «senza Stato» e a evitare il pagamento delle tasse, negoziando un'aliquota inferiore al 2%.

Un'accusa che Cook ha respinto. «L'unità in Irlanda è stata progettata non per eludere le tasse», ha precisato, «ma per vendere all'estero, dove il nostro gruppo realizza il 61% del fatturato totale». L'erede di Steve Jobs ha ricordato «i 600 mila posti di lavoro che la nostra compagnia sostiene nel Paese» e che fanno di Apple «il principale contribuente tra le grandi corporation Usa», avendo pagato 6 miliardi di dollari di tasse all'erario Usa nel suo ultimo esercizio fiscale, «cioè 16 milioni al giorno».

La guerra dei numeri gli è servita per chiedere la revisione del sistema fiscale sulle grandi aziende Usa, che, secondo Cook «oggi non è al passo con l'avvento dell'era digitale e il rapido mutamento dell'economia globale». Ma la testimonianza non ha convinto il presidente della commissione Carl Levin, che ha accusato Apple di «aver cercato il Sacro Graal dell'elusione fiscale».

«Apple è una grande azienda», ha spiegato il senatore democratico Levin, «ma nessun gruppo dovrebbe poter determinare da solo quanto paga di tasse utilizzando degli espedienti». Anche il senatore repubblicano John McCain si è mostrato rigido. «L'uso di queste tattiche da parte delle società ha l'effetto di far salire le tasse degli americani normali e far aumentare il debito federale», ha teorizzato, definendo Apple «tra gli evasori fiscali più grandi d'America».

Prima di Cook aveva preso la parola il senatore Rand Paul, uno dei leader del movimento Tea Party, l'ala più estrema del partito repubblicano nata su un forte sentimento anti-tasse, che ha esortato la commissione a presentare le sue scuse alla Apple «per averne fatto ingiustamente un capro espiatorio». «Se qualcuno deve essere sul banco degli imputati», ha apostrofato, «questo è il Congresso per aver creato un codice tributario bizzarro e bizantino».

Il panel del Senato ha puntato i riflettori anche sulle strategie fiscali di Microsoft, Hewlett-Packard e altre multinazionali, rilevando che a loro volta avrebbero evitato di pagare tasse agli Stati Uniti spostando i profitti in società offshore e sfruttando le lacune dell'amministrazione fiscale, contribuendo così all'aumento astronomico del deficit federale cui l'amministrazione Obama cerca da tempo di porre un rimedio.

 

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