UN MESE PER SALVARE L’ILVA - SE NON CI SARÀ UN’ACQUIRENTE, L’AZIENDA SARÀ SENZA LIQUIDITÀ: I SOLDI DEL PRESTITO PONTE SONO STATI IMPEGNATI IN STIPENDI, PREMI DI PRODUZIONE, PAGAMENTO ALL’INDOTTO E LAVORI PER L’AMBIENTALIZZAZIONE

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

Giuliano Foschini per “la Repubblica

 

banch ilva banch ilva

Tre, quattro, forse cinque offerte sul tavolo. Eppure nelle ultime ore una paura sempre più forte: se non si fa in fretta, se non si trova un acquirente nel giro di un mese, l’Ilva entrerà in un’altra fortissima, forse irreversibile, crisi di liquidità. L’azienda lo ha comunicato già sottovoce ai sindacati: «L’aria è molto tesa – spiega una fonte interna – i soldi del primo prestito ponte sono stati già tutti impegnati tra stipendi, premi di produzione, pagamento all’indotto e primi lavori per l’ambientalizzazione. La seconda tranche le banche non la concederanno se prima non ci sarà una certezza sul futuro».

 

La certezza che i tre istituti – Intesa San Paolo, Unicredit e Banco Popolare – pretendono si dovrebbe chiamare Arcelor Mittal, il colosso dell’acciaio indiano che superate le perplessità sui limiti di produzione imposti dall’Antitrust (Arcelor è già leader mondiale della produzione di acciaio), ha deciso di fare sul serio. Non si chiuderà, come sperava, entro il 15 ma comunque restano in pole position.

 

riva riva

Al momento non si può parlare di cifre. Troppe variabili in campo. Prima tra tutte la decisione dei giudici milanesi che giovedì dovranno dire al commissario del governo, Piero Gnudi, se possono essere utilizzati per la bonifica i soldi sequestrati ai Riva per evasione fiscale. Non spiccioli: ma 1,8 miliardi. Se passasse questo principio, il prezzo dell’Ilva chiaramente salirebbe.

 

Caso contrario, invece, l’offerta sarebbe ben più bassa. Da indiscrezioni – che però al momento Ilva smentisce – Arcelor sembrerebbe poi interessata a una divisione di competenze, lasciando volentieri nelle mani di un commissario esterno l’attuazione delle bonifiche. In cambio però chiede un aumento della produzione dalle attuali sei milioni di tonnellate, agli otto imposti come limite massimo dall’Autorizzazione integrata ambientale.

 

PROTESTA DEGLI OPERAI DELL ILVA PROTESTA DEGLI OPERAI DELL ILVA

Caso contrario, Arcelor dovrebbe mettere mano alla forza lavoro ma in questo sia Gnudi sia il governo sono stati chiarissimi: i livelli occupazionali, almeno per il momento, non si toccano. In questo sono importanti le garanzie che possono arrivare dalla joint venture con il gruppo Marcegaglia e dalla possibilità di fornire la materia al gasdotto Tap che dovrebbe approdare a pochi chilometri da Taranto, nella marina di Melendugno.

 

Restano però ancora troppo punti interrogativi e la necessità invece di chiudere “entro la fine dell’anno” dice Gnudi che giovedì relazionerà al Senato. Gli indiani di Jindal, dopo un timido interessamento, sembrano ormai essere fuori dalla partita. Giovedì ci sarà un incontro di Gnudi con il ceo di China Development Bank da cui potrebbe svilupparsi un’offerta alternativa. Resta da capire il ruolo dei Riva.

ILVA DI TARANTO ILVA DI TARANTO

 

I proprietari continuano a ritenere illegittimo tanto il commissariamento quanto il blocco dei capitali: se da Milano arrivasse un no alla richiesta di Gnudi di utilizzare il denaro sequestrato, la famiglia italiana rientrerebbe nella partita. D’altronde Mediobanca li avrebbe già contattati, per nome di alcuni gruppi stranieri, per provare una strada comune. Certo Taranto non sarebbe contenta: dopo il no della Cassazione al trasferimento del processo per “motivi ambientali” chiesto dalla famiglia ma anche dal commissario, giovedì riprende il processo che vede imputati i componenti della famiglia Riva per disastro ambientale.

IMPIANTO ILVA A TARANTO IMPIANTO ILVA A TARANTO