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Soldi con il contagocce a chi si dimostra affidabile, larga disponibilità di finanziamento verso i «soliti noti», nella maggior parte dei casi «grande impresa». Eppure otto su dieci di essi, alla fine, non restituiscono i soldi. «Sofferenze» che negli ultimi quattro anni sono cresciute del 93 per cento (dal 2011 al 2015, da 104,3 a 201 miliardi di euro).
La crisi del sistema bancario italiano, in estrema sintesi, si può spiegare e desumere anche da quest' analisi della Cgia di Mestre, secondo la quale quasi l' 80 per cento dei prestiti erogati dalle banche italiane va alle grandi imprese che, a differenza delle Pmi che rappresentano la quasi totalità (il 99 per cento) delle aziende presenti in Italia, possono contare su un rapporto privilegiato con gli istituti di credito. Ma la quota di insolvenza in capo ai maggiori affidati, rileva la Cgia, veleggia intorno al 78 per cento.
«Chi riceve la stragrande maggioranza dei prestiti ha livelli di affidabilità bassissimi», afferma il coordinatore dell' Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo. Secondo l' analisi il primo 10 per cento dei migliori affidati riceve l' 80 per cento circa del totale dei prestiti erogati dalle banche; prestiti che tecnicamente vengono definiti come «finanziamenti per cassa». Eppure otto su dieci di questi «privilegiati» sulla base della grandezza (nonché delle conoscenze) smette di restituire il prestito.
Ciononostante, le banche continuano a finanziarli. «Salvo qualche rara eccezione - conclude Zabeo - questo 10 per cento di maggiori affidati non è certo composto da piccoli imprenditori, famiglie o lavoratori autonomi, ma quasi esclusivamente da grandi società o gruppi industriali. Pertanto, possiamo affermare che le banche italiane sono molto influenzate dalle richieste delle grandi imprese. Non vorremmo che questa anomalia fosse ascrivibile al fatto che nella stragrande maggioranza dei casi nei Cda dei principali istituti di credito sono presenti quasi esclusivamente i nostri capitani d' industria o manager a loro molto vicini».
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