OK, IL PREZZO È GIÙ - LA DEFLAZIONE È UNA REALTÀ IN 10 GRANDI CITTÀ: IN TESTA TORINO, MA ANCHE FIRENZE . GLI ITALIANI SPENDONO SEMPRE PIÙ LOW COST - IN TUTTA EUROPA SI SOFFRE: MALE LA FRANCIA E PERFINO LA GERMANIA

1. PREZZI ITALIANI A CRESCITA ZERO. MAI UN DECLINO COSÌ DAL 1959 E IN 10 GRANDI CITTÀ È DEFLAZIONE

Rosaria Amato per “la Repubblica

 

mercati finanziarimercati finanziari

Meno 0,1 per cento su giugno, più 0,1 per cento sul luglio dell’anno scorso: variazioni nulle, le rilevazioni Istat confermano che i prezzi sono fermi, fermissimi. Anzi, mai così fermi dal 1959: solo allora infatti si è registrata una sequenza lunga 11 mesi di variazioni inferiori all’1 per cento, con la differenza che in quel periodo il Paese stava per tuffarsi nel boom economico, adesso è stata appena annunciata la terza recessione nel giro di sei anni.

 

Se la media è vicina allo zero, la deflazione è una realtà già in dieci grandi città: in testa tra i capoluoghi di regione Torino, con un calo tendenziale dello 0,4 per cento. Nel confronto mensile i numeri sono anche più alti: si parte dal meno 0,7 per cento di Firenze. La deflazione si concentra soprattutto nel Nord-Ovest, mentre nel Nord-Est e Centro i prezzi sono fermi, e nel Sud e nelle Isole si registrano tassi di inflazione superiori alla media.

spesa al supermercatospesa al supermercato

 

Federconsumatori e Adusbef denunciano «il grido di allarme delle famiglie», mentre il Codacons sottolinea come la deflazione sia «lo specchio della grave crisi dei consumi». A confermare la tendenza al ribasso anche l’andamento dei “prodotti acquistati con maggiore frequenza”, una categoria introdotta dall’Istat per porre fine alle polemiche sollevate soprattutto dalle associazioni dei consumatori, secondo le quali l’Istituto non misurava correttamente gli aumenti “veri” dei prezzi.

 

commerciocommercio

Ebbene, i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza a luglio calano dello 0,3 per cento su base mensile, due punti base in più rispetto all’indice per l’intera collettività. A incidere sul calo mensile sono soprattutto i prezzi dei beni energetici regolamentati (meno 3,1 per cento), della frutta fresca (meno 9) e delle verdure (meno 3,8).

 

Per la Coldiretti il calo rilevato è anche maggiore: le famiglie, spiega l’associazione, prediligono l’hard discount, trascurando la qualità dei prodotti, e pur di risparmiare arrivano a «non buttare il cibo scaduto ma a mangiarlo, con una percentuale che è aumentata del 18 per cento dall’inizio del 2014».

 

spiaggia  Riccione spiaggia Riccione

Le scelte low cost degli italiani non si limitano agli alimenti, ma emergono da tutte le categorie del “paniere” Istat: per esempio scendono su base mensile i prezzi di alberghi e pensioni (meno 1,1 per cento), ma salgono i prezzi dei servizi di alloggio di villaggi vacanze, campeggi e ostelli della gioventù (più 19,9 su giugno, più 2,7 su anno).

 

2. UNA SPIRALE PERVERSA CHE PUÒ INGHIOTTIRE ANCHE I CONTI PUBBLICI

Maurizio Ricci per “la Repubblica

 

La sindrome Giappone e il suo ventennio di sviluppo perduto, inghiottito dalla deflazione? Probabilmente ci siamo già dentro. Ormai, stabilire se l’Italia sia o no in deflazione è diventato un dettaglio statistico. A luglio i prezzi sono scesi dello 0,1% rispetto a giugno, ma fa anche più impressione che, in un anno, dal luglio 2013, siano cresciuti solo dello 0,1%. Un dato - la media nazionale - peraltro illusorio.

 

spiaggia  Marina  Grande spiaggia Marina Grande

La verità è che, per gran parte degli italiani, anche la soglia dell’inflazione zero è un ricordo. Rispetto a giugno, a Torino e a Roma i prezzi sono crollati dello 0,5%. A Milano dello 0,3%. Firenze li ha visti scendere dello 0,7%. Una gelata che ha avuto un impatto devastante sull’economia, con il Pil ridotto dello 0,2% fra aprile e giugno. E le prospettive sono pessime, perché il problema non è solo italiano.

 

Nel resto d’Europa non va molto meglio. In Francia, i prezzi non saliranno più di un asfittico 0,6%. In Germania dello 0,8. E, anche qui, l’impatto sull’economia è stato immediato. Ieri, il sondaggio Zew sulle aspettative degli imprenditori tedeschi ha mostrato un pessimismo assai più marcato delle previsioni.

 

OPERAI TEDESCHI VOLKSWAGENOPERAI TEDESCHI VOLKSWAGEN

Domani, le statistiche probabilmente sanciranno che, nel secondo trimestre, anche il Pil della superpotenza tedesca si è ridotto. Sono tre anni che l’economia dell’eurozona va avanti solo grazie al traino della locomotiva tedesca: se anche la Germania si ferma, la crisi può entrare nella sua fase più cupa.

 

Crisi ucraina e sanzioni alla Russia sono solo l’ultima goccia e, comunque, successiva al congelamento dell’economia europea dalla primavera in poi. Decisiva, piuttosto, l’erosione, psicologica e materiale, dell’economia che determinano proprio deflazione o inflazione zero. In una società sempre più diseguale, infatti, il calo dei prezzi favorisce i detentori di redditi alti e sicuri. Ma tutti gli altri preferiscono rinviare le spese, in attesa di sconti anche più generosi. O, più semplicemente, non hanno i soldi da spendere, perché neanche i redditi salgono.

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Gli industriali, infatti, di fronte ad una domanda stagnante, non investono. I salari non salgono, anzi scendono. La domanda si riduce ulteriormente. Gli industriali investono ancora meno. La spirale della deflazione è partita. Ma i danni sono anche più ampi. L’inflazione, infatti, alzando prezzi e redditi, alleggerisce il peso reale dei debiti preesistenti. La deflazione - per gli stessi motivi - lo aggrava.

 

E questo vale anche per la montagna del debito pubblico. Su cui la deflazione agisce perversamente, rendendo più soffocanti i parametri europei. Il rapporto debito/Pil e deficit/Pil contemplano infatti il prodotto nominale, che incorpora cioè l’inflazione. Se il Pil nominale si riduce, debito e deficit risultano più negativi.

 

UCRAINA LA GENTE IN PIAZZA DOPO GLI SCONTRI UCRAINA LA GENTE IN PIAZZA DOPO GLI SCONTRI

Il famoso 3% di deficit, scolpito negli impegni italiani, diventa più difficile da tenere. E il rischio è un’altra dose di austerità europea che inasprisca deflazione e recessione, rendendo più veloce la spirale.

 

Alcuni economisti pensano che questo agosto sia, in realtà, il momento più basso della crisi e che la seconda metà del 2014 sarà migliore. Quello che già sappiamo, tuttavia, è che l’economia europea dovrà risollevarsi, probabilmente, da sola. A Bruxelles, la nuova Commissione comincerà a lavorare solo a novembre. E, a Francoforte, la Bce non sembra intenzionata a intervenire prima di gennaio.

UCRAINA NEL SANGUE SCONTRI E MORTI A KIEV UCRAINA NEL SANGUE SCONTRI E MORTI A KIEV

 

Anche se Draghi ripete ad ogni occasione che la banca centrale è pronta ad interventi eccezionali, se necessari, la tregua raggiunta, a giugno, fra falchi e colombe all’interno del board della Bce prevede, infatti, che si dia tempo alle misure straordinarie decise due mesi fa di manifestare i loro effetti. Il problema è che molti pensano che quelle misure siano, fin dall’inizio, insufficienti.

 

Lo pensa, in particolare, l’Fmi che, ormai da mesi, martella l’Eurotower perché imbocchi la stessa strada scelta, da tempo, dalle altre grandi banche centrali e finora rifiutata dalla Bce, per la decisa opposizione tedesca: acquisto massiccio di titoli per ridare fiato al credito e alla domanda. Francoforte ha preferito limitarsi ad una nuova iniezione di liquidità, attraverso le banche, ma, recentemente, in un blog assai pubblicizzato, i massimi dirigenti del Fondo per l’Europa hanno contestato la scelta come timida e inefficace.

draghi draghi

 

Il Qe (quantitative easing) rivendicato dal Fmi è divers o dalla iniezioni di liquidità attraverso le banche (Ltro, nel gergo) perché ha un orizzonte superiore ai 3 anni, con effetti psicologici più vistosi, perché è la stessa Bce, non le banche, a decidere quanto comprare sul mercato e perché Francoforte si impegna a comprare fino a che l’inflazione non è tornata all’obiettivo del 2 per cento.

 

IL PROGETTO DELLA NUOVA SEDE BCE IL PROGETTO DELLA NUOVA SEDE BCE

Un’operazione da fare, senza falsi pudori, sui titoli di Stato (di tutti i paesi dell’eurozona contemporaneamente), nella convinzione che questi acquisti massicci dai portafogli delle banche migliorino i loro bilanci e rendano più facile ed abbondante il credito alle imprese e alle famiglie. E’ possibile che, come calcola Moody’s, un Qe all’europea abbia effetti meno vistosi di quanto avvenuto in America o in Inghilterra. Ma il tempo per attendere sembra sempre di meno.