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Fabrizio Massaro per il "Corriere della Sera"
Di sicuro è la quota di Unicredit che ha creato più grattacapi. Il pacchetto dell'1,25% in mano alla Lia, Libyan Investment Authority, ovvero il fondo sovrano della Libia considerato adesso dal tribunale internazionale dell'Aja riconducibile alla famiglia Gheddafi, ha attraversato pericolosamente oltre due anni di vita della banca di Piazza Cordusio. Nell'estate 2010 la sua improvvisa comparsa nell'istituto con una quota del 2,7% fece diventare i libici - già presenti con la Banca centrale libica al 5% - i primi soci assoluti della banca.
E fu il casus belli che portò all'uscita di scena di Alessandro Profumo dalla guida di Unicredit, dopo uno scontro epocale con le fondazioni azioniste. Poi la quota Lia è stata oggetto di un congelamento da parte delle autorità internazionali durante la guerra in Libia. Quindi di recente, a fine 2011, il pacchetto è stato dissequestrato per consentire alla Lia di partecipare all'aumento di capitale della banca da 7,5 miliardi.
Infine, mentre ancora in questi giorni i libici stanno trattando un posto nel prossimo consiglio di amministrazione di Piazza Cordusio, è arrivato ieri il sequestro cautelativo del giudice della Corte d'Appello di Roma, Giuseppe Miccia, su richiesta della Corte penale internazionale per risarcire le vittime del regime di Muammar Gheddafi.
Pur nel silenzio ufficiale di Unicredit, la decisione della magistratura non dovrebbe comunque creare ostacoli nei rapporti tra il nuovo governo libico venuto fuori dalla rivoluzione e i vertici della principale banca italiana. Rapporti più che saldi grazie soprattutto alla quota di Unicredit posseduta dalla Banca centrale libica, adesso diluita al 2,8% circa. Il nuovo governo libico infatti preferito partecipare solo parzialmente all'aumento (avrebbe dovuto versare 350 milioni) destinando i capitali alla ricostruzione.
La presenza di Tripoli nella banca è storica: risale ai tempi di Capitalia e da lì è confluita nella nuova Unicredit nata dall'integrazione tra la banca milanese e quella romana. I libici sono sempre stati considerati soci tranquilli e stabili, tanto da esprimere anche un vicepresidente nella figura dell'ex presidente della Banca centrale, Omar Farhat Bengdara, uomo dalle molte relazioni in Europa e a conoscenza di molte informazioni sulla ricchezza della Libia.
Anche martedì scorso l'amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, ha dato rassicurazioni circa i rapporti con la Libia, socio complessivo al 4% fra Lia e Banca centrale. Il banchiere due settimane fa è volato a Tripoli: «I libici vogliono avere un rapporto buono con l'Italia», ha detto. «Ho incontrato il governatore della banca centrale, il primo ministro e anche alcuni uomini d'affari.
I rapporti sono normali, pur in un contesto complicato e difficile. E sono anche d'affari: lavoriamo con loro, anche sull'import-export, che ha ripreso a funzionare. Abbiamo riaperto il nostro ufficio di rappresentanza e abbiamo anche un certo numero di clienti italiani». Certo l'obiettivo di aprire una banca, raggiunto sotto il regime di Gheddafi, resta lontano: «La licenza è ancora disponibile. Verificheremo dopo le elezioni di giugno se ci sono le condizioni per operare».
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