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alberica brivio sforza, claudio costamagna
Metti un banchiere che scalpita, un consulente che si muove come un carro armato, uno spin doctor che mette bocca su tutto e un premier che ondeggia tra faciloneria e spacconeria ed ecco spiegato il grande pasticcio della Cassa Depositi e Prestiti.
Nella “nuova Iri” controllata dal Tesoro (80%) e dalle principali fondazioni bancarie (18%) sembra finita l’era di Franco Bassanini presidente e Giovanni Gorno Tempini amministratore delegato e i giornali si esercitano liberamente da giorni sui loro successori.
Chi si è mosso per primo è il banchiere milanese Claudio Costamagna, classe 1956, presidente di Salini-Impregilo. Dopo neppure due anni pare che il suo idillio con Pietro Salini sia già terminato e così si è messo a caccia di una nuova poltrona. Anzi, di una super-poltrona come quella occupata da Bassanini.
Costamagna è molto amico di Andrea Guerra (sono stati insieme anche nel cda di Luxottica), che come consigliere economico di Matteo Renzi pretende di avere il boccino in mano su nomine e dintorni. Cdp, poi, è un dossier che Guerra conosce bene perché lo maneggia da mesi. E i contrasti con Bassanini e Gorno Tempini non sono mancati.
franco bassanini pier carlo padoan
Il primo nodo delicato è quello dei progetti per la banda larga, dove la Cdp si è scontrata con Telecom Italia. Guerra ha buoni rapporti con Alberto Nagel, ad di Mediobanca e in qualche modo ambasciatore di Telecom, mentre Bassanini è rimasto arroccato e liquida le mosse di Guerra come quelle di un sodale di Vincent Bollorè, il patròn di Vivendi che è diventato il primo azionista di Telecom al posto di Telefonica.
Maurizio Tamagnini Giovanni Gorno Tempini
Il secondo terreno di scontro tra Guerra e Bassanini riguarda l’assetto della Sace, in attesa della sua privatizzazione. La compagnia di assicurazione per l’export, guidata dal duo Giovanni Castellaneta-Alessandro Castellano, vorrebbe espandersi nel settore del credito diretto alle imprese, come una Exim Bank del tipo francese, tedesco o americano. Un progetto che piace molto anche a Guerra, ma contro il quale sono schierati i vertici della Cdp e il perché è presto detto: se Sace diventasse una banca, la stessa Cdp si troverebbe sottoposta alla vigilanza della Banca d’Italia. E avrebbe un’autonomia di manovra assai inferiore a quella attuale.
laudomia pucci e giovanni castellano
In ogni caso, con questi due casus belli tra le mani, Guerra è andato da Renzi a dirgli che bisogna fare il ribaltone alla Cassa, perché Bassanini ormai è vecchio (ha appena compiuto 75 anni) e Gorno Tempini sarebbe un “Signor no” che si oppone a tutto. In più, la controllata Fondo Strategico italiano, guidata da Maurizio Tamagnini, non farebbe i dovuti investimenti, appunto, “strategici”.
Come spesso gli accade, il premier ascolta il consigliere fidato del Giglio magico e parte in quarta, ma senza studiare a fondo il dossier. E il dossier, come sanno anche i normali cronisti finanziari, dice che la nomina del presidente della Cdp spetta alle Fondazioni. Insomma, tocca parlarne con Giuseppe Guzzetti, grande vecchio della Cariplo. E poi il primo azionista è il Tesoro, e quindi bisognerebbe fare due chiacchiere anche con Pier Carlo Padoan. In più, a dirla tutta, lo stesso Renzi non è convintissimo di Costamagna perché qualcuno del Giglio magico gli fa notare che da sempre è vicinissimo a Romano Prodi ed era co-autore del vecchio piano Telecom di Angelo Rovati che fece infuriare all’epoca Tronchetti.
andrea guerraclaudio costamagna romano prodi lap
Padoan spiega a Renzi che non si risolve tutto con una riunione del Consiglio dei ministri. Il consiglio della Cdp, e quindi Bassanini, scade tra un anno e mezzo e quindi, per il ribaltone che ha in mente Guerra, occorre che i consiglieri del Tesoro si dimettano in massa. Questo schema, riferito da Renzi a Guzzetti, non ottiene il gradimento. L’ottantenne banchiere comasco fa notare che una mossa del genere è particolarmente violenta ed equivale a una sfiducia a Bassanini che per le Fondazioni è immotivata.
andrea guerra matteo renzi leopolda
Guzzetti, ovviamente, da bravo democristiano non ha chiuso la porta in faccia al premier, ma ha chiesto qualche giorno per rifletterci. Insomma, deve decidere che cosa chiedere in cambio del via libera al defenestramento di Bassanini. Nel frattempo Costamagna ha saputo che Guzzetti non lo stima particolarmente e per aggirare l’ostacolo si è rivolto al suo nume tutelare, Giovanni Bazoli: “Parla a Guzzetti, per favore”, è stata la richiesta dell’ex Goldman Sachs.
In questa fase di impasse si è inserito Filippo Sensi, il para-guru della comunicazione renziana che è diventato così ascoltato dal Capo da suscitare ultimamente perfino le invidie di Luca Lotti e della Boschi, che lo vedono come un novello Rasputin. “Approfitta delle lunghe trasferte estere in cui stanno a tu per tu per allargarsi sempre più”, dicono a Palazzo Chigi non senza risentimento.
Sulla partita Cdp Sensi è intervenuto con i soliti cronisti fidati, quelli a cui giornalmente rifila i virgolettati anonimi “riferibili a Renzi”, cavalcando il nome di Costamagna e affossando Bassanini. Ma la fuga di notizie pilotata su un prossimo ribaltone ai vertici ha moltiplicato il casino e sta rischiando di far passare Renzi per pasticcione. Anche perché, come detto, il via libera di Guzzetti ancora non c’è e al Tesoro fanno un po’ i pesci in barile.
GIOVANNI BAZOLI E GIUSEPPE GUZZETTI
Bassanini, che ha una lunga esperienza di politico nella sinistra “migliorista”, ha capito che lo stanno rosolando sui giornali ed è andato a lamentarsene dal premier in persona. Con lui Renzi ha dato il meglio di sé: “Stai tranquillo che tanto vai alla Corte Costituzionale”, gli ha detto. Per la serie #Francostaisereno. Ma “Franco” non è stupido e gli ha ribattuto: “Per andare alla Consulta ci vuole un voto bipartizan del Parlamento, non sto affatto tranquillo”.
Il risultato è che le chiacchiere stanno a mille e i fatti, ancora, a zero. Renzi vuole decidere il cambio dei vertici della Cdp entro venerdì, ma il dossier, come si è visto, prevede anche il coinvolgimento di Guzzetti e Padoan. Guerra non basta.
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