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PIÙ CHE AL WELFARE BISOGNA PENSARE AL WEBFARE (CIOÈ TASSARE I COLOSSI!) - LA GRANDE SFIDA DI OGGI È MISURARE IL VALORE CHE OGNI PERSONA CONNESSA A UN DISPOSITIVO PRODUCE SU INTERNET, E CHE DETERMINA, PER LE PIATTAFORME, UN ACCUMULO DI DATI CHE È RICCHEZZA - TASSAZIONE, RIDISTRIBUZIONE DEI PROFITTI, EDUCAZIONE I LAVORI DEL FUTURO: ECCO I GRANDI TEMI CHE L'UE DEVE AFFRONTARE IN FRETTA…

Maurizio Ferraris per "La Stampa"

 

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Il riconoscimento è un tema filosofico fondamentale, al centro, per esempio, delle ricerche condotte da Axel Honneth che si misura con i problemi posti dal multiculturalismo e dalle trasformazioni della democrazia.

 

Storicamente, è sempre stato legato al lavoro: riconoscimento degli schiavi di Haiti nelle piantagioni di cotone che ispirò a Hegel la figura della signoria e servitù nella Fenomenologia dello spirito; riconoscimento del plusvalore che l'operaio genera in fabbrica a sua insaputa e a lungo anche a insaputa del padrone in Marx; riconoscimento del valore del capitale umano sempre più importante nel terziario postcapitalista nella critica del «nuovo spirito del capitalismo» proposta alla fine del secolo scorso da Ève Cappello e Luc Boltanski.

 

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Ma la storia non finisce mai e, con questa, il riconoscimento: come ricordava il mese scorso su questo giornale Antonio Casilli, ospite di Biennale Democrazia, la grande sfida, oggi, è capire la quantità di valore che ogni essere umano connesso a un dispositivo produce sul web, e che determina, per le piattaforme, un accumulo di dati che si presenta come una ricchezza sempre crescente ma ancora indeterminata, e che va compresa, circoscritta e orientata.

 

In questo senso, il problema da filosofico diviene politico, e ci parla dell'attualità, per esempio di un elettorato volatile perché non più legato a professioni stabili e a identità di classe.

 

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Vincere la paura sociale legata alla perdita di lavoro e promuovere uno sviluppo rispettoso dell'ambiente sono gli obiettivi fondamentali del mondo contemporaneo, e in particolare di quella parte di mondo, l'Unione Europea, che a partire dalla pandemia ha saputo mostrare una vitalità superiore ai due grandi imperi competitori, Usa e Cina.

 

TASSEI AI COLOSSI DEL WEB

E per risolvere il problema del lavoro e dell'ambiente non occorre meno tecnologia (luddismo e decrescita) ma più tecnologia, accompagnata da una ridistribuzione del plusvalore che gli umani generano sulle piattaforme. Il punto di partenza (crisi sociale e ambientale) è chiaro, così come quello di arrivo, un Webfare che riproponga il Welfare State nell'epoca del Web.

 

Quello che va chiarito sono i passaggi, e sono questi che si tratterà di mettere in chiaro attraverso una collaborazione tra umanisti e tecnologi non su idee generali, bensì punti circoscritti che mi limito a indicare in forma stenografica o stentorea, convinto che da questi dipenda l'avvenire economico e politico dell'Ue e della convivenza sociale nel nostro pianeta.

 

1. RICONOSCIMENTO

GIGANTI DEL WEB

Gli umani sono produttori di valore sul web attraverso i loro consumi e comportamenti, che generano profitti pubblicitari, vantaggi distributivi e incrementi di automazione grazie alla intelligenza artificiale come registrazione della forma di vita umana.

 

Occorre riconoscere che in questo quadro il consumo registrato produce valore, e che questo valore dipende dagli umani mobilitati sul web molto più che dalle piattaforme, perché senza gli umani le piattaforme non andrebbero da nessuna parte. Questo è l'orizzonte filosofico generale da cui discendono gli applicativi che vanno sviluppati.

 

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2. MISURAZIONE

Come si misura il valore che gli umani producono sul web? Certo non dai bilanci delle piattaforme, abilissime a nascondere i profitti: Amazon dichiara profitti modesti, ma l'assegno di divorzio della ex signora Bezos è pari al Pil dell'Austria. Come è possibile?

 

Qui la via, aperta da alcune iniziative pionieristiche come «ernieapp», sviluppata da Isabella De Michelis, propone di stabilire un rapporto inverso tra privacy e valore: quanto più un dato è protetto, tanto meno è commerciabile; e viceversa.

 

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Invece di preoccuparsi della privacy (davvero Alexa è interessata ai fatti nostri? Vuole semplicemente perfezionare i software di riconoscimento vocale) pensiamo a quantificare la resa dei nostri dati in termini di automazione, profilazione, pubblicità, avendo sempre a mente che, diversamente dal petrolio, i dati sono una energia inesauribile, perché si possono riusare all'infinito.

 

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3. TASSAZIONE

Bisogna riconoscere il plusvalore di cui godono le piattaforme, fabbriche che non pagano i loro operai, e che diversamente dai loro operai (che non si lamentano perché per fortuna non faticano e non si annoiano, il che però gli impedisce di vedere il problema) diventano proprietarie dei dati, e hanno gli strumenti per confrontarli, capitalizzarli, finalizzarli, rivenderli.

 

Qui il meccanismo è più semplice di quanto non paia. Se gli utenti chiedono di monetizzare il loro lavoro sulle piattaforme, queste dovranno distribuire utili, modesti quanto si vuole, ma con ciò, come i bar che danno gli scontrini, quantificheranno il valore prodotto nella Ue, e sottoporsi a tassazioni eque che permettano la creazione di un Webfare.

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4. RIDISTRIBUZIONE

Bisogna capire quali sono le vie per ridistribuire nel territorio i profitti di una tassazione europea del plusvalore delle piattaforme. Considerando che non deve trattarsi né di una distribuzione a pioggia, né di un reddito di cittadinanza, ma piuttosto dell'inserimento dei cittadini che perdono il lavoro in un ciclo virtuoso di socializzazione, educazione e riqualificazione. Si prende il dato bruto del consumo e della mobilitazione, lo si trasforma in valore, e lo si ridistribuisce come cultura.

 

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5. EDUCAZIONE

Come? Bisogna studiare una forma di educazione permanente, insieme umanistica e tecnologica, che prepari cittadini cui non si chiede di essere «creativi» (è una pretesa non meno assurda del «facci ridere!»), ma di essere capaci di cogliere nel presente le opportunità per generare i nuovi lavori e intercettare i nuovi valori che spesso sono la causa dei nuovi lavori.

 

Ci ripetono sempre che il 70% dei lavori che faranno i bambini di oggi non esistono ancora e non hanno nome. Vogliamo creare una accademia mondiale per l'invenzione dei nuovi lavori? Ovvio che no. Dobbiamo promuovere una educazione che non prepari alla disciplina e alla regolarità, come era necessario nei vecchi lavori, ma all'invenzione, che è cosa diversa dalla creatività ma, diversamente da quella, è accessibile e incrementabile con la cultura.