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Giampaolo Visetti per "la Repubblica"
GlI americani ispezionano la Foxconn, fucina cinese degli apparecchi elettronici che hanno rivoluzionato la nostra vita, e i cinesi sequestrano l'iPad, gioiello americano che ha moltiplicato le vie della conoscenza. Il duello Usa-Cina per il dominio del secolo non si combatte solo sui mercati finanziari e lungo le rotte del Pacifico. Si consuma anche nelle fabbriche e nei negozi, a patto che siano il palcoscenico per il rito di massa del marchio-simbolo dell'umanità globalizzata.
à il caso di Apple, icona dell'America delocalizzata in Cina, ormai al centro della nuova «guerra-touch» tra le prime due potenze del mondo. Posta in palio da choc: i cinesi minacciano di lasciare il pianeta senza iPad, che ormai è peggio che tagliare i fili della corrente.
Gli americani minacciano di sospendere le commesse alla Foxconn, il che equivarrebbe a chiudere la fabbrica più grande della terra, con oltre un milione di operai. Ultima mossa di Pechino, in una partita con gli Usa sempre più politica, il blocco a esportazioni e importazioni di tablet Apple. La società «Shenzhen Proview Technology», che rivendica la proprietà del marchio iPad sul territorio cinese, si è infatti rivolta ai giudici affinché ordinino la sospensione della distribuzione fino a quando non sarà emesso il giudizio definitivo sui diritti d'uso del marchio.
Se la richiesta verrà accolta, gli iPad spariranno dal mercato. Per Apple, in Oriente, è solo l'ultima di una lunga serie di brutte notizie. Perché sempre ieri in Cina si sono estesi a quattro regioni i sequestri degli iPad di seconda generazione dai negozi. La polizia di Shandong, Jiangsu, Hebei e Hunan è entrata negli store sequestrando migliaia di tablet e multando i rivenditori con l'accusa di riciclaggio. Per il colosso di Cupertino, mentre in Cina la biografia di Steve Jobs è saldamente in testa alle vendite, è uno scenario da incubo: iPad sequestrati nel primo mercato mondiale ed esportazioni bloccate nel resto del mondo.
Un terremoto che parte da lontano. Era il 2001 e la sconosciuta «Proview Technology» sostiene di aver depositato allora il marchio iPad a Taiwan, in Cina e in altre dieci nazioni. Nel 2009 Apple ha in effetti acquistato il brand da una controllata di Taipei, per 55 mila dollari, ma il contratto non avrebbe escluso i diritti di «Proview Technolgy» sul territorio cinese. Apple in dicembre ha perso la causa, pende ora il ricorso a un tribunale superiore, ma nel frattempo rischia di dover pagare anche una maxi-multa da 38 milioni di dollari.
Non è solo una guerra tra avvocati d'affari, con i cinesi alla ricerca di un accordo finanziario per scongiurare il fallimento. I falchi del congresso americano, in piena campagna elettorale per le presidenziali, tuonano contro imitazioni e violazioni della proprietà intellettuale da parte del «made in China», accusato di penalizzare le multinazionali Usa. Prendere atto di un presunto furto commesso proprio da Apple ai danni della Cina, mentre il prossimo leader cinese incontra Barack Obama alla Casa Bianca, è fonte di enorme imbarazzo per Washington.
Il blocco degli iPad segue e riapre poi lo scandalo Foxconn, la fabbrica-inferno di Shenzhen divenuta famosa nel 2010 per una serie di 18 suicidi tra gli operai. Solo allora, mentre i giovanissimi lavoratori si buttavano dai tetti di capannoni in cui erano costretti a lavorare, mangiare e dormire per 365 giorni all'anno, emerse l'altra faccia del successo Apple: oltre un milione di ragazzi cinesi, arruolati dai terzisti di Cupertino al servizio di una compagnia di Taiwan, strappati dai villaggi rurali e rinchiusi in stabilimenti-lager, per pochi dollari al mese, in condizioni di lavoro e di vita disumane.
Sarebbe questo il prezzo del consumismo e del progresso e Steve Jobs in persona, poco prima di morire, volò a «Foxconn City», una sorta di enclave produttiva dotata addirittura di un proprio esercito, per porre fine all'epidemia di suicidi che macchiavano di sangue i prodigi di tecnologia e bellezza con il simbolo della mela morsicata.
Uscì ammettendo che «qualcuno non ha rispettato i patti», promise agli operai Foxconn biblioteche e piscine, e alzò di qualche dollaro la busta paga. Sembrava finita lì, fino a quando il New York Times ha documentato la dimensione dell'inferno-Foxconn, il movimento mondiale dei consumatori s'è mobilitato e Apple è stata costretta a inviare a Shenzhen e Chengdu, gli ispettori della Fair Labor Association. Ora la fabbrica dei sogni globali online trema, facendo vacillare il modello-Cina e l'immagine-Usa. Una bomba: sequestrare gli iPad in Cina e farli sparire dal mondo potrebbe non bastare per bloccare la notizia.
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