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Alessandro Penati per "la Repubblica"
L'allontanamento di Perissinotto dalla guida di Generali ha sollevato il solito polverone da Guelfi e Ghibellini: i "complottisti", critici per l'ennesima manovra di palazzo di Mediobanca, contro gli "evoluzionisti", plaudenti alla buona governance che ha rimosso un manager incapace. I problemi della Compagnia però restano sullo sfondo; lasciando intatti i dubbi sulle prospettive del titolo.
Se la vicenda fosse un esempio di buona governance, Generali sarebbe la società meglio gestita al mondo. Già al momento della cacciata di Geronzi scrivevo: «I ribaltoni al vertice della Compagnia sono la regola: Geronzi aveva sostituito Bernheim, che aveva "ribaltato" Gutty, che a sua volta aveva "ribaltato" Desiata. Quest'ultimo era arrivato al vertice grazie al "ribaltamento" di chi? Di Bernheim, a chiudere un cerchio che sembra grottesco». Siamo, quindi, nel solco della tradizione.
Sulla gestione Perissinotto, condivido da tempi non sospetti il giudizio negativo: ma come è possibile che i soci ci abbiano messo 10 anni per capirlo (era al vertice dal 2001)? E come si fa ad imputargli la recente performance negativa del titolo, quando da 20 anni Generali fa mediamente peggio del settore (l'ho documentato in A&F, 11/4/2011)?
Perissinotto non è stato sfiduciato dal Consiglio, che solo tre mesi prima aveva approvato il bilancio, sottolineando nel comunicato ufficiale «i solidi risultati industriali... la struttura finanziaria che si è rafforzata... l'utile (2012) in forte crescita », ma in un ufficio di Mediobanca.
Il Consiglio ha ratificato. Del Vecchio ha difeso il metodo rivendicando di aver chiesto lui a Mediobanca, con Pelliccioli, il ribaltone: da buon imprenditore sa che nelle nostre aziende si va direttamente dal "padrone" per far licenziare un dirigente. Ma così facendo ha certificato il controllo effettivo di Mediobanca su Generali, e il fatto che i Consigli della Compagnia siano formalità . Chissà se Consob avrà preso nota, e richiederà a Mediobanca di consolidare Generali in modo proporzionale.
Il controllo di fatto è denunciato anche da Perissinotto nella sua lettera ai consiglieri. Ahimè per lui, un boomerang: se ci ha impiegato 10 anni a capire che in Generali comanda Mediobanca, forse non hanno fatto male a cacciarlo. La lettera, poi, sfiora il patetico, giustificando la crisi del titolo con gli investimenti in Btp. Ma come? Perissinotto si definisce «leale sostenitore del debito sovrano italiano» e viene licenziato dal maggiore azionista del Corriere della Sera, che ha lanciato il Btp Day?
Dimentica che quello che è meglio per i portafogli dei lettori, non lo è necessariamente per quello degli editori. Che siamo a una svolta in Italia, coi manager che pagano se il titolo soffre in Borsa, non ci credo: fosse così, quelli di Mediobanca e Pelliccioli rischierebbero di non mangiare il panettone. Fin qui, mi sembra cronaca di costume. La cosa grave è che si sia cambiato il vertice senza indicare al mercato dove Perissinotto ha fallito, e quali siano gli obiettivi dati a Greco.
Dire che è più bravo del predecessore, o che deve far salire il titolo, è solo retorica, se non si dichiara quale svolta nella strategia si vuole da lui. Perché Generali un problema ce l'ha: una politica degli investimenti inadeguata e insoddisfacente. In sintesi, gli attivi di Generali sono investiti in tante obbligazioni, immobili e qualche partecipazione "strategica". Ma da cinque anni lo scenario globale è di prolungata stagnazione e i tassi di interesse a lungo termine nel mondo non coprono neanche l'inflazione attesa: impossibile così remunerare le polizze, coprire i costi, e assicurare il ritorno sul capitale.
A questo si aggiunge il rischio insolvenza del debito sovrano nell'Eurozona. Negli immobili, superato il picco di un ciclo secolare, ci attendono vacche magre. Quanto alle partecipazioni strategiche, definirle deludenti è eufemistico. Generali deve cambiare radicalmente la gestione degli investimenti e la capacità di assumere rischi finanziari. L'alternativa è la metamorfosi del Leone in Gattopardo.
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