DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
1 - FACEBOOK E NICK CLEGG: MA CHE COLPA ABBIAMO NOI
Edoardo Segantini per “L’Economia - Corriere della Sera”
Che Facebook sia diventata quasi uno stato è dimostrato dal fatto che il suo vicepresidente affari globali e comunicazione è da tre anni Nick Clegg, ex vice primo ministro del Regno Unito nel governo conservatore di David Cameron.
Ma proprio la difesa di Clegg rispetto alle accuse rivolte alla società da Frances Haugen, ex product manager della società di Mark Zuckerberg, dimostrano che Facebook è anche una grande potenza amorale.
Haugen è la dirigente che, lasciata l'azienda, ha denunciato i comportamenti nocivi del social network per i bambini e per gli adolescenti: prima consegnando al Wall Street Journal i documenti interni riservati che dimostrano la consapevolezza dei danni provocati agli utenti più giovani, poi esponendosi alle telecamere della trasmissione giornalistica televisiva più famosa d'America («60 Minutes») e infine testimoniando in un'audizione parlamentare. L'aggettivo «amorale» definisce precisamente la linea di difesa adottata da Nick Clegg durante «60 Minutes».
La racconta sul Foglio Cecilia Sala quando descrive il cambio di strategia comunicativa dello statista-manager. Il quale, anziché chiedere scusa, spiega: 1. Che il mondo non è un pranzo di gala ma un postaccio in cui cattiverie e falsità sono ineliminabili.
2. Che Facebook ospita un terzo della popolazione mondiale e nessuno può chiedere a una singola azienda di indurre un terzo del mondo a comportarsi bene. 3. Che non è colpa di Facebook se esistono adolescenti insicuri ed ex presidenti pericolosi.
4. Che la piattaforma riproduce «ciò che di buono, di cattivo e di orribile c'è nell'umanità», ma prova ad «amplificare il bene e mitigare il male», che non si può eliminare. In realtà la società di Zuckerberg potrebbe fare molto di più per «mitigare il male».
La sua posizione ricorda invece, pur con le ovvie differenze, quella dei produttori di armi, sempre difesi dai repubblicani: il rifiuto delle responsabilità. La differenza tra i due mondi è che oggi Facebook è attaccata, anche se per ragioni diverse, sia dai repubblicani che dai democratici.
2 - TUTTI I GUAI DI ZUCKERBERG, UN GIGANTE SOTTO ASSEDIO
Mario Platero per “la Repubblica - Affari & Finanza”
Le ultime settimane per Facebook sono state drammatiche, pervase da problemi di immagine e operativi di vario genere. Intanto ci sono state le accuse di omertà del Wall Street Journal: un'inchiesta sugli impatti negativi per i giovani derivanti dall'utilizzo di Facebook che probabilmente varrà il Pulitzer.
Mark Zuckerberg, il fondatore, era al corrente di questi problemi, ma ha scelto di guardare da un'altra parte. C'è stato poi il catastrofico collasso tecnologico, inconcepibile in un contesto di normalità energetica e atmosferica, un blackout durato oltre cinque ore, una decina di giorni fa, che ha colpito le piattaforme principali del gruppo, Facebook ovviamente, ma anche Instagram e WhatsApp.
Infine le accuse implacabili di Frances Haugen, 37 anni, davanti alla sottocommissione Commercio al Senato per la protezione dei consumatori. La Hughes è una ex dipendente di Facebook che lavorava in un dipartimento costituito per proteggere gli utenti dal rischio di soprusi anche morali nell'utilizzo della piattaforma.
Ma dopo aver prodotto vari avvertimenti e denunce all'interno, il dipartimento fu smantellato. Ci sono state poi le reazioni dei senatori, che hanno minacciato ogni ritorsione possibile, a partire da quella di uno scorporo.
Insomma, peggio di così non poteva essere. Se oggi pensiamo a Mark Zuckerberg come a un gigante ferito, se l'assedio dei regolatori si stringe attorno alle sue tre piattaforme, sarebbe ingenuo non pensare che il problema dell'eccessiva concentrazione di potere riguarda tutti i grandi giocatori del settore hi tech.
L'attacco a Facebook insomma potrebbe essere l'anticamera di una svolta epocale anche per gli altri colossi digitali, che già si confrontano in campo aperto e che potrebbero anche loro affrontare la tempesta bipartisan che si scatenerà presto sul loro settore. Parliamo ovviamente di Google, Apple, Amazon e Microsoft, già accorpate, insieme a Facebook, nel linguaggio comune delle procedure legislative sotto l'acronimo GAFAM.
Ma torniamo all'audizione di giovedì al Senato e alle parole della Haugen: «Sono qui oggi perché sono convinta che i prodotti Facebook danneggino i bambini, dividano il pubblico e indeboliscano la nostra democrazia».
Non sono accuse da poco. Corredate da rivelazioni su come il suo dipartimento fu prima ignorato e poi addirittura chiuso quando alcuni dei dipendenti preposti proprio alla segnalazione di possibili impatti pericolosi chiarirono le dinamiche interne e chiesero di intervenire. Un esempio è il programma XCheck.
Sulla carta Facebook diceva che i 2,89 miliardi di utenti su base mensile erano tutti sullo stesso piano e dovevano accettare standard minimi di comportamento. Ma XCheck, confezionato per VIP, consentiva a qualche milione di utenze con un alto profilo di consumo di essere protette da intrusioni indesiderate o da controlli.
Il problema è che molti utenti, approfittando della loro situazione di privilegio, pubblicavano materiale che incitava alla violenza o altro materiale provocatorio che per i consumatori normali sarebbe stato sottoposto a sanzioni. Non solo, l'azienda ha ignorato analisi interne che dimostravano come, per ragazzine teenagers in particolare, si creassero spesso situazioni tossiche.
Su un altro fronte, è stato lo stesso Zuckerberg a resistere all'introduzione di nuove regole per allentare dialoghi che spesso creavano tensione invece di alleggerirla. Zuckerberg spiegava che una mitigazione del fenomeno, deleterio da un punto di vista sociale, avrebbe potuto ridurre il numero di utenti su Facebook e dunque chiese di non intervenire.
Ci sono poi state risposte deboli dell'azienda su tematiche che riguardavano il controllo di chi cercava di adescare minori su Internet, si è lasciato troppo spazio ai No Vax e si è consentito alla protesta del 6 gennaio di coordinarsi. Insomma, un disastro.
Fra i senatori che hanno reagito male c'è Ed Markey: «Ecco il mio messaggio per Zuckerbger: il tempo che ti consentiva di invadere la nostra privacy, di promuovere materiale tossico per i nostri figli e di lasciare che predatori minacciassero minori è scaduto».
Il senatore Richard Blumenthal, ex procuratore, un veterano nella lotta contro lo sfruttamento dell'infanzia e dell'adolescenza su Internet, è stato anche più duro: «Facebook è una scatola nera, ho chiesto alla Federal Trade Commission e alla Sec di investigare la situazione e vorrei che Zuckerberg venisse qui avanti a noi in audizione».
La Federal Trade Commission è preposta alla preparazione di inchieste che possono portare alla violazione delle norme antitrust e avviare una raccomandazione di scorporo. Blumenthal in particolare già negli anni scorsi si confrontò con Google e contro altri grandi, soprattutto per modificare la regole 230 che proteggeva i social media da responsabilità per la diffusione di messaggi pericolosi sulle loro piattaforme.
Qui è pronto ad affilare il coltello. Per questo, un'inchiesta di questo genere focalizzata su Facebook potrebbe ampliarsi e toccare anche gli altri social media. Per ora tuttavia è solo Facebook a soffrire, il mercato per ora non ha toccato gli altri titoli mentre c'è stato un forte contraccolpo sui valori di Borsa di Facebook e sul patrimonio personale di Mark Zuckerberg. Il titolo è precipitato da quota 380 a 333 in poche settimane.
Quel che più conta, sul piano del confronto fra le grandi dell'hi tech, la capitalizzazione di Facebook è scesa sotto i mille miliardi, a quota 940 miliardi di dollari contro i 2.370 miliardi del suo arcinemico Apple, i 2.221 miliardi di Microsoft, i 1.800 miliardi di Google e i 1700 miliardi di Amazon.
Sul piano personale, la fortuna di Zuckerberg è caduta della bellezza di una ventina miliardi, cifra che una volta poteva essere una importante manovra economica italiana e che oggi rappresenta il semplice delta fra i 141 miliardi di massimo della ricchezza del fondatore e il suo livello attuale, intorno a 121 miliardi di dollari.
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