LA SCATOLA VERA - BEN 13 TESTIMONIANZE INCHIODANO CAPITAN NAUFRAGIO: NON HA SEGNALATO L’EMERGENZA ANCHE SE TUTTI VOLEVANO FARLO - UN UFFICIALE: “SCHETTINO NON HA RISPETTO DEI LIMITI”, E HA DECISO DA SOLO DI PASSARE VICINO AL GIGLIO - “HA ORDINATO DI PARLARE SOLO DI BLACK OUT CON LA CAPITANERIA” - GLI UFFICIALI SCARICANO IL BARILE IN TESTA A SCHETTINO, MA SONO FUGGITI SULLE SCIAPUPPE ANCHE LORO - VEDREMO CHE REGALO CONTIENE LA SCATOLA NERA...

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Simone Innocenti per il "Corriere della Sera"

Che cosa è successo in quella plancia di comando? E soprattutto: cosa si sono detti Francesco Schettino e i vertici della Costa durante quella notte? Sono questi, adesso, i nodi cardini dell'inchiesta del procuratore capo Francesco Verusio che sta indagando sulla notte del naufragio della Costa Concordia. Per rispondere a queste domande bisogna consultare gli atti dell'indagine, finiti al tribunale del Riesame di Firenze.

Fu Schettino a sottovalutare la situazione e a non tenere conto delle «pressioni» degli ufficiali di coperta al momento dell'incidente e del personale che poi si ritrovò nella cabina di regia, minimizzando la situazione con Roberto Ferrarini, responsabile dell'Unità di crisi della Costa, durante le 17 telefonate di quella notte. Prima del fermo, il comandante della Costa Concordia, intervistato da Tgcom, aveva detto che la colpa di quanto accaduto era dovuta alla carta nautica che non segnalava lo scoglio. Poi ha raccontato al gip e ai quattro pm di aver avuto poche indicazioni da parte del suo staff.

Ma tredici testimoni diretti di quella notte, che ricoprivano ruoli essenziali nella vita della nave e che sono stati poi sentiti personalmente dal comandante della Capitaneria Gregorio De Falco (quello che invitò Schettino a ritornare a bordo della nave), raccontano un'altra storia. Mario Pellegrini, ufficiale della Concordia, mette a verbale che «io, Bongiovanni e Canessa eravamo concordi di dichiarare lo stato di emergenza generale, ma il comandante pareva non comprendere la gravità della situazione e insisteva a contattare Ferrarini».

Ferrarini non è stato ancora sentito ma ha mandato una memoria di tre pagine al Senato, spiegando le sue 17 telefonate con Schettino, spiegando che il comandante ha di fatto sottovalutato quei momenti fornendogli informazioni fuorvianti. Soprattutto Ferrarini lascia intendere una cosa: una volta che sarà analizzata la scatola nera della Concordia, vedrete come sono andate le cose. Dice sempre Pellegrini: «Mi hanno riferito che quando Ciro Ambrosio (il vicecomandante indagato, ndr) si è accorto di essere troppo vicino alla costa, ha ordinato di virare a dritta. Ma Schettino lo ha sollevato dalle responsabilità ordinando di mantenere la rotta».

Quella rotta fu decisa solo ed esclusivamente da Schettino, dicono tutti. Da un uomo che ha sì «un'innata arte marinaresca» ma che però «non ha consapevolezza e rispetto dei limiti estremi», sostiene il primo ufficiale di coperta Mario Iaccarino, che pure racconta di come qualcuno suggerì a Schettino di decretare l'abbandono nave. Lo descrive bene l'ufficiale Alessandro Di Lena: «Tutti noi eravamo convinti di far partire speditamente l'abbandono della nave.

Glielo abbiamo chiesto a Schettino che però era al telefono con Ferrarini. E penso che il comandante avrebbe dovuto semplicemente informarlo della situazione in atto, ma era lento nel valutare e non sembrava in grado di gestire la situazione. Ogni volta che l'ufficiale radio chiedeva di dare il may day, Schettino gli ordinava di aspettare».

Un passo indietro. Schettino sostiene anche di fronte alla Capitaneria di Porto, informata di quanto stava accadendo dai passeggeri e non dal personale della nave, che c'è un black out. E di black out parla sempre Schettino con Ferrarini. Almeno fino a quando, come racconta il primo ufficiale di coperta, il comandante chiede al manager di Costa: «Come è possibile che la macchina non mi sappia dire se posso utilizzare i generatori 4-5-6?». A quel punto «il comandante mi ha guardato dicendomi: la mia carriera è finita.

Mi sembra sia questo cronologicamente ma lo si potrà ascoltare dalla scatola nera». Sarà Ferrarini, ora, a raccontare cosa si sono detti con Schettino quando sarà ascoltato dai pm. Ma una cosa è certa: Andrea Bongiovanni, altro membro dell'equipaggio, descrive cosa succede quella sera: «Schettino parla con Ferrarini e dal suo comportamento ho dedotto che per lui la situazione fosse sotto controllo: non voleva dare l'allarme del segnale generale come invece noi ufficiali volevamo».

Che qualcosa di anomalo sia successo dopo la sbandata lo ha capito immediatamente anche Diego Scarpato. Il terzo ufficiale di coperta, dopo l'incaglio, sale in plancia e nota «che sul ponte di comando i due escoscandagli erano spenti e ho provveduto a riattivarli». E quando spiegano a Schettino, dopo un giro di ricognizione, che c'erano in avaria diversi sistemi «il comandante era al telefono con Ferrarini e non sembrava avesse compreso l'informazione».

C'è voluta la Capitaneria di Porto a far smuovere Schettino che era «poco lucido. Ricordo che il militare ha chiesto a un certo punto in modo deciso: "Chiedete il may day?". Il cartografo a quel punto ha guardato il comandante, ha fatto un cenno affermativo con la testa e ha chiesto a sua volta: "Comandante, chiediamo il may day?". Alla fine Schettino ha detto: "da questo momento siamo in distress"» mette a verbale l'uomo. Che pure rivela un altro particolare: «Ursino mi ha detto, quasi imprecando, che Ciro Ambrosio prima dell'impatto aveva detto chiaramente al comandante che bisognava accostare a dritta, ma che Schettino ha ignorato questa richiesta facendo mantenere la rotta».

Navigava a vista, Schettino, in quel momento su una rotta che «probabilmente, per motivi economici, era stata pianificata dalla compagnia», spiega il cartografo Simone Canessa. Una rotta decisa da Schettino che però, assicurano tutti, non era mai stata così vicina come quella volta. Prima sicuro di sé, dopo l'incidente un uomo incapace di governare e di rendersi conto del minimo, come quando «gli comunico uno sbandamento rilevato dal radar e il comandante mi disse che "non era vero".

Glielo ribadisce anche il primo ufficiale Bongiovanni», spiega Canessa. Che va oltre: «Quando abbiamo detto che la situazione era di un black out a bordo e che tutto era sotto controllo, non riportavamo la situazione veritiera. Ma ce lo aveva ordinato Schettino». Sarà pure un caso, ma il comandante generale delle Capitanerie di Porto, l'ammiraglio Marco Brusco, ha detto una cosa ben precisa ieri in Senato: la responsabilità del naufragio della Costa Concordia al Giglio «è sicuramente del comandante» Francesco Schettino ma c'è da chiedersi «perché gli ufficiali che erano con lui, gli stessi che poi sono "scivolati" con il comandante sulla scialuppa, siano rimasti zitti» senza cercare di fermarlo.

È anche su questo punto che la Procura indaga, senza tralasciare eventuali coinvolgimenti della Costa. A questo punto una cosa è certa: tutta l'inchiesta passa attraverso la lettura della scatola nera.

 

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