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Stefano Carrer per il "Sole 24 Ore"
Il consiglio di amministrazione della Sony dice no al principale singolo azionista: il board ha respinto la pressante sollecitazione dell'hedge fund Third Point a valorizzare le attività più redditizie - quelle nell'intrattenimento (ramo finanza a parte) - attraverso un parziale spin-off con tanto di collocamento iniziale in Borsa.
La motivazione del gran rifiuto al fondo di investimento guidato da Daniel Loeb - che controlla circa il 7% delle azioni - è generica e quasi filosofica: Sony Entertainment rappresenta un business fondamentale per il successo del gruppo, il cui migliore interesse sta nel controllare completamente, anziché parzialmente, le attività nei contenuti. Secondo la lettera di ripulsa resa pubblica ieri dal ceo Kazuo Hirai, in un contesto del mercato tecnologico in rapido cambiamento la divisione ha un valore crescente e offre il potenziale sinergico per spingere la crescita delle intere attività nell'elettronica.
«Se poi dovessimo aver bisogno di capitali o nel caso di eventi non prevedibili, la nostra priorità sarà di reperire risorse senza cedere alcuna parte di asset fondamentali per la nostra strategia di crescita, e senza pesare in modo non necessario sulla capacità di attuare le nostre strategie di business sia nel settore intrattenimento sia in quello dell'elettronica», ha concluso Hirai, chiudendo la porta alla proposta di cedere al mercato il 20% della divisione che gli era stata recapitata in maggio per lettera da Loeb.
Il titolo Sony ha ceduto ieri il 4,6% a Tokyo, ma resta su livelli più che doppi rispetto a inizio anno, in parte grazie proprio alle spallate di Loeb in favore di riforme a beneficio dell'azionariato.
Third Point ha espresso la sua delusione e affermato che sta considerando piani più specifici per indurre un miglioramento dei risultati della divisione intrattenimento e far sprigionare maggior valore per tutti gli azionisti. Loeb il mese scorso aveva criticato duramente, in una lettera agli investitori del suo fondo, la gestione di Sony Pictures come caratterizzata da «mancanza completa di accountability e scarsi controlli finanziari».
Hirai è stato abile nel coinvolgere il board nella decisione negativa (per mostrare rispetto all'azionariato) e nel farsi dire da banchieri privati noleggiati come advisers che una Ipo parziale sarebbe controproducente in base tra l'altro all'esperienza di News Corp, che nel 1998 collocò in Borsa l'allora Fox Entertainment per poi riprenderne il controllo completo sette anni dopo. Il ceo ha anche ammesso che i margini del ramo cinema devono migliorare e ha promesso di renderlo più trasparente fornendo maggiori dettagli finanziari. Paradossalmente, è Hollywood che tira un grande sospiro di sollievo, in quanto Loeb è diventato la sua bestia nera (più ancora che per i top manager giapponesi).
La sua crociata contro i budget cinematografici troppo alti l'ha reso infatti ben poco popolare a Los Angeles, tanto che George Clooney l'ha attaccato pubblicamente come «uno che non capisce niente del settore cinematografico» (l'attore è impegnato a dirigere e interpretare un film sulla seconda guerra mondiale, "Monuments Men", co-finanziato da Sony).
Secondo vari analisti, ora tocca a Hirai dimostrare che il turnaround di Sony può essere accelerato in tutti i settori. D'altra parte, il rifiuto a Loeb sembra dimostrare, per vari osservatori, proprio la fiducia nelle potenzialità della società , che la settimana scorsa ha alzato l'outlook sul giro d'affari a fine esercizio anche se ha previsto di vendere meno "hardware" come tv, pc e fotocamere. Per i più critici, comunque, si tratta dell'ennesimo caso di sconfitta in Giappone per gli azionisti "attivisti", il che contribuirà a un eventuale disappunto generale degli investitori per il Paese se il premier Shinzo Abe non riuscirà a varare un incisivo piano di riforme economiche.
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