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Ch.C. per "Il Sole 24 Ore"
Se la partita di Sorgenia appare ben avviata al livello di cda, con l'ad Andrea Mangoni che sta negoziando la proposta delle banche per la ristrutturazione del debito da 1,9 miliardi (domani è previsto un nuovo vertice), sul fronte dei soci potrebbe invece riservare sviluppi, per certi versi, inattesi.
Del resto, per essere implementato, lo schema degli istituti richiede il via libera unanime dell'assemblea, una condizione ad oggi tutt'altro che scontata. Gli austriaci di Verbund, titolari del 46% del capitale (Cir ha il 53%), negli ultimi mesi hanno disertato il negoziato dopo avere chiarito che non intendono iniettare più denaro nella società ; ora, tuttavia, nutrirebbero dubbi sull'aumento di capitale da 400 milioni a servizio della conversione del debito.
L'operazione, si osserva, di fatto equipara l'equity al debito stesso, senza riconoscere alcun valore, attuale o prospettico, al gruppo energetico; inoltre azzera il patrimonio netto di Sorgenia, quando invece gli attuali soci ne hanno sostenuto l'avviamento e la recente fase di crisi - Verbund ha svalutato la partecipazione da 650 milioni a zero. In altre parole, l'aumento è talmente diluitivo che non solo ne scoraggia la sottoscrizione, ma - complice l'assenza di sovrapprezzo - non permette neppure agli azionisti di restare con una quota rilevante (insieme Cir e Verbund scenderebbero sotto il 3%) in una società che tra alcuni mesi, grazie al taglio del debito e all'eventuale incremento del capacity payment, potrebbe essere più redditizia.
Su questo punto, Vienna sarebbe ferma nel chiedere un riconoscimento per i sacrifici fin qui sopportati; in alternativa valuterà il da farsi in assemblea. Anche Cir, seppure con sfumature più flessibili, riterrebbe necessario un serio approfondimento sulla struttura dell'aumento di capitale e sui termini della conversione. Per questo, in un'ottica costruttiva, la holding della famiglia De Benedetti sarebbe intenzionata a formalizzare al più presto agli istituti i propri orientamenti sul tema.
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