DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
1. TELECOM STA PERDENDO COLPI SUL MERCATO DOMESTICO E HA BISOGNO DI INGOIARE IL COMPETITOR H3G PER ALLARGARE LA SUA QUOTA DI MERCATO
Che tristezza sarebbe TelecomItalia senza Tarak Ben Ammar, l'imprenditore franco-tunisino e nipote di Bourghiba, che siede tra i consiglieri di amministrazione della società .
Per fortuna il senso dello spettacolo che gli ha procurato successi nel cinema e nella televisione viene fuori ad ogni riunione del Consiglio e i giornalisti si deliziano perché è l'unico che parla senza dover aspettare il comunicato stampa dell'azienda.
Così ha fatto anche ieri il furbo Tarak prima ancora che terminasse il consiglio di sei ore nel quale Franchino Bernabè ha buttato sul tavolo i conti del primo trimestre e i due problemi dell'integrazione con H3G Italia e la cessione della Rete. Il levantino dall'aria sorniona ha detto quello che tutti si aspettavano, e cioè che su entrambe le questioni si è deciso di approfondire "molto di più con l'obiettivo di trovare soluzioni per far salire il titolo e creare ricchezza".
Questo è un linguaggio della verità e a nulla vale la tesi dei centurioni dell'ufficio stampa Telecom secondo la quale tre quarti del consiglio sarebbero stati dedicati all'esame della trimestrale.
In realtà i conti del primo trimestre pare che siano stati esaminati rapidamente e con una buona dose di delusione. Nel comunicato stampa di 30 pagine emesso ieri sera dai centurioni di Bernabè si legge che l'utile netto è calato di quasi il 50% rispetto al primo trimestre dell'anno scorso ed è passato da 605 milioni a 364.
A lenire la perdita non basta il dato sui debiti che su base annua sono aumentati di poco passando dai 28,3 miliardi di fine anno a 28,8 del 31 marzo. Questo dato non deve aver impressionato i soci spagnoli di Telefonica che hanno partecipato ieri al Consiglio perché il loro indebitamento è balzato a 51,8 miliardi e per quanto li riguarda quel gattone di Tarak ha detto ( bontà sua), che gli spagnoli "sono soci seri, collaborativi e hanno un'esperienza che ci interessa molto". E ha aggiunto che per quanto riguarda la questione dello scorporo e della fusione con H3G non ci sono preclusioni da parte di nessuno.
Gli uscieri di TelecomItalia che hanno avuto la pazienza di leggere le 30 pagine del comunicato stampa hanno fatto un balzo sulla sedia alla pagina 9 dove si legge che i ricavi di Telecom nel primo trimestre sono diminuiti di circa il 9% per la forte erosione della telefonia mobile (14,7%) "dovuta alle accese dinamiche competitive". In parole povere questo vuol dire che l'azienda di Franchino sta perdendo colpi sul mercato domestico e ha bisogno di ingoiare il competitor H3G per allargare la sua quota di mercato.
E qui si ritorna ai due nodi centrali esaminati nel consiglio di ieri dove, a quanto si dice, è apparso il pungiglione di quel grande rompicoglioni Luigi Zingales, l'economista di Chicago che ha espresso fieri dubbi sulla valutazione di H3G, che secondo i vertici di Telecom varrebbe 2 miliardi. Questo spiega perché il Consiglio abbia deciso di rinviare la decisione sulla controllata italiana del cinese Li Ka Shing, guidata da Vincenzo Novari.
Per quanto riguarda lo scorporo della Rete altri consiglieri hanno espresso un certo mal di pancia perché si rendono conto che questa operazione, unica in Europa, è tutta in salita e deve passare sotto le forche caudine di Bruxelles, dell'Antitrust e soprattutto della politica.
Qualcuno si chiede perché Franchino abbia imboccato una strada così difficile in un momento così delicato dove il filo sul quale cammina il governo è sempre più sottile.
C'è già chi pensa che la partita con H3G finirà nel nulla mentre quella sulla Rete avrà bisogno di tempi infiniti e di un altro governo. Forse il manager di Vipiteno ha sbagliato la tempistica ,ma ieri ha perso l'occasione per dare comunque un segnale perché avrebbe potuto mettere sotto gli occhi dei consiglieri un modello di organizzazione societaria con il profilo di una holding nella quale far confluire il business italiano, la rete d'accesso e le attività internazionali.
Così non è stato, e la newco è rimasta nel cassetto dei sogni. Forse se ne è anche parlato durante le sei ore del Consiglio ma il furbo Tarak Ben Ammar su questo argomento ha tenuto la bocca cucita.
2. IN AGITAZIONE AGOSTINO RAGOSA, IL 63ENNE MANAGER NOMINATO DIRETTORE DELL'AGENZIA DIGITALE
I fraticelli dell'Abbazia di Spineto dove Enrico Letta chiuderà i ministri per una full immersion destinata a conoscersi meglio, sono più agitati dei fratacchioni sui quali Umberto Eco ha costruito "Il nome della rosa".
Nel loro caso non c'è la frenesia di salvare i tesori della biblioteca, ma la preoccupazione che nel bellissimo convento le tecnologie funzionino alla perfezione. Per quanto li riguarda i fraticelli piu' giovani leggono le preghiere sull'iPad e fanno finta di ignorare la morbosità dei fratacchion piu' anziani che "laborano" sul web per leggere Dagospia e sbirciare qualche sito porno.
Qualcuno di loro si sta chiedendo se nello "spogliatoio" organizzato da Enrico Letta sulle colline senesi ci sarà spazio per parlare dell'Agenzia Digitale, un tema che da mesi sta penosamente rimbalzando da un'istituzione all'altra. Scorrendo il discorso programmatico di Enrico Letta davanti alle Camere, il tema del digitale è stato quasi del tutto ignorato e questa dimenticanza ha messo in agitazione Agostino Ragosa, il 63enne manager salernitano che alla fine di ottobre è stato nominato direttore dell'Agenzia.
Già la sua nomina fu molto sofferta perché in pista erano scesi altri tre candidati tra cui Stefano Parisi, l'ex-capo di Fastweb che potrebbe finire in Assolombarda con la carica di direttore generale. Alla fine l'ha spuntata Ragosa, forte delle esperienze in Telecom, a Poste Italiane e delle medagliette da consigliere in Telespazio, Telesoft e Atesia.
Nelle ultime ore è arrivata la notizia che l'Agenzia resterà una scatola vuota perché a Palazzo Chigi qualcuno ha pensato di ritirare lo Statuto dal tavolo della Corte dei Conti lasciando l'ente senza poteri operativi. Secondo la ricostruzione del "Corriere delle Comunicazioni" la richiesta sarebbe stata avanzata il 24 aprile dal governo Monti, già dimissionario e del tutto indifferente al tema delle nuove tecnologie.
Il dossier sullo statuto sarebbe stato sezionato riga per riga dalla Corte dei Conti che avrebbe formulato obiezioni sui 150 dipendenti da ingaggiare e sul ruolo di direttore e presidente che il buon Ragosa dovrebbe ricoprire. In realtà il manager salernitano ha rilasciato ieri una secca dichiarazione alla rivista Wired dove si legge che lo Statuto dell'Agenzia è ancora sul tavolo della Corte dei Conti e il governo non è intervenuto in alcun modo.
I fraticelli laboriosi e i fratacchioni erotomani dell'Abbazia di Spineto sperano che nello "spogliatoio" di Letta i ministri mettano una parola chiara su questa vicenda.
3. IN ATTO UN BRACCIO DI FERRO TRA LA CANCELLIERI E ALFANO PER LA POLTRONA DEL DIPARTIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA (DAP)
La bilancia e la spada, i due simboli della giustizia, ieri hanno lavorato parecchio.
La spada è calata sulla testa del Cavaliere impunito con la condanna a quattro anni per la frode di Mediaset, ma a rimettere un po' di equilibrio ha provveduto la bilancia con la nomina di Nitto Palma alla Commissione Giustizia del Senato e di Giorgio Santacroce alla Cassazione.
Il risultato finale fa capire anche ai bambini delle elementari che sulla giustizia si gioca la sopravvivenza del governo e la vita politica dello statista che scherza da irresponsabile sulla Convenzione per le Riforme.
I ministri interessati alle diverse questioni sono in prima linea Angelino Jolie Alfano e la Cancellieri che ieri sera in un frammento irriverente di "Striscia la Notizia" è stata paragonata per i suoi tratti al comico di "Drive In" Gianfranco D'Angelo. Ironia a parte si può dire che il Cavaliere ,al di là della condanna sulla quale aleggia la prescrizione, sta riempiendo tutte le caselle dell'organigramma dell'amministrazione dove il tema della giustizia è vitale.
Una delle ultime posizioni da definire è il vertice del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (Dap) che ha il compito di gestire i 66mila detenuti nelle 206 carceri italiane. Sotto molti profili è un settore estremamente delicato perché il tema delle carceri è diventato incandescente al punto da meritare le bacchettate del Consiglio d'Europa per il vergognoso sovraffollamento e i 94 suicidi registrati l'anno scorso.
Oggi al vertice del Dap siede Giovanni Tamburino, un magistrato di Treviso (classe 1943) che dopo la laurea nel '67 a Padova è diventato famoso per le sue indagini sull'eversione fascista nel Veneto che lo portarono a scoprire l'organizzazione segreta "Rosa dei venti". Prima di lui il capo del Dipartimento era Franco Ionta, un altro magistrato scelto nel 2008 da Angelino Alfano quando questi era ministro della Giustizia. La sostituzione di Ionta fu accompagnata dalle polemiche per gli sprechi e per un appartamento romano, ma molti ritengono che il magistrato piemontese fu sacrificato per l'opposizione al piano dell'edilizia carceraria da 300 milioni elaborato in Banca Intesa.
Adesso sembra che nel governo si stia discutendo tra Alfano e la Cancellieri sulla conferma di Tamburino (definito dai sindacati un "tecnico del diritto") e che sia in atto un braccio di ferro tra la Cancellieri e il fedelissimo di Berlusconi che cinque anni fa ha sponsorizzato Ionta. Tra l'altro si tratta di una poltrona ambita anche per lo stipendio che dagli oltre 500mila euro riconosciuti a Ionta, è stato riportato a 303mila per il tetto ai superstipendi nella Pubblica Amministrazione. Se come sembra il "teorico" Tamburino lascera' l'incarico e' gia' pronta una poltrona al Consiglio Superiore della Magistratura.
4. TRA IGNAZIO MARINO E ARFIO MARCHINI Ã IN CORSO UNA COMPETIZIONE SERRATA PER CONQUISTARE I VOTI DEL MONDO CATTOLICO IN VISTA DEL CAMPIDOGLIO
Avviso ai naviganti: "Si avvisano i signori naviganti che tra il chirurgo Ignazio Marino e quel gran bell'uomo di Arfio Marchini è in corso una competizione serrata per conquistare i voti del mondo cattolico in vista del Campidoglio.
Entrambi esibiscono nel curriculum gli studi nelle scuole e nelle università dei preti. Marino si è laureato a Roma in medicina alla università Cattolica del Sacro Cuore mentre Marchini ha frequentato i gesuiti del liceo Massimo e ha preso la maturità scientifica al San Giuseppe de Merode.
Ieri il medico candidato è riuscito a mettere nelle mani del Papa il suo libro "Credere e conoscere" scritto con il gesuita cardinal Martini, ma il vero confronto avverrà lunedì alle ore 17 presso la Pontificia università Angelicum. Qui si ritroveranno a parlare di etica e politica nel corso di un convegno al quale sono stati invitati, oltre al giornalista di "Repubblica" autore del libro "Il Saccheggio", altre personalità tra cui l'onnipresente Giovanni Maria Flick da pochi giorni è stato ingaggiato da Finmeccanica per presiedere il Comitato etico dell'azienda che su questa materia è scivolata clamorosamente".
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