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Giorgio Meletti per il “Fatto Quotidiano”
L’ennesima telenovela Telecom Italia si è arricchita ieri di un nuovo colpo di scena e di nuovi triti rituali di facciata. Il colpo di scena è la comunicazione data di prima mattina, prima dell' apertura della Borsa, dall' imprenditore francese Xavier Niel: giovedì aveva fatto sapere di aver messo insieme una quota potenziale dell' 11 per cento di Telecom con contratti di acquisto a termine, ieri mattina ha reso noto di essere arrivato al 15,14 per cento.
Il rituale prevede in questi casi che i sindacati si allarmino, la Consob accenda un faro, l' Antitrust chieda informazioni ai soggetti interessati, compresa la società sotto attacco, e il governo vigili. Tutto questo è avvenuto. Il premier Matteo Renzi ha analizzato il dossier col suo sottosegretario Claudio De Vincenti, il sottosegretario alle ComunicazioniAntonello Giacomelli e il ministro dell' Economia Pier Carlo Padoan.
Ne è scaturita una nota ufficiale firmata da De Vincenti, secondo il quale l' interesse del Paese "è che qualsiasi cambiamento nella composizione dell' azionariato risponda a criteri di rafforzamento industriale di una società, come Telecom, strategica per lo sviluppo del sistema di telecomunicazioni italiano".
A palazzo Chigi non c' è grande preoccupazione. Non solo Renzi si è sentito rassicurato dal colloquio del 6 agosto scorso con il boss di Vivendi Vincent Bollorè (oggi primo azionista di Telecom con il 20 per cento), ma i conoscitori della storia Telecom che ha consultatogli hanno fatto presente che dopo il 1997, data della improvvida privatizzazione decisa dal governo Prodi -Ciampi per finanziare l' ingresso nell' euro, si è visto ben di peggio.
Il vero mistero è l' obiettivo dell' operazione di Niel, che sta mettendo in campo un impegno finanziario da 2 miliardi nei prossimi due anni. Niel è ricco, è un imprenditore di successo, il suo operatore mobile low cost è stato un successone in Francia e ha messo in difficoltà i concorrenti. Un impegno finanziario massiccio come quello di cui si parla è alla sua portata, l' unico dubbio è se Telecom Italia lo valga.
Soprattutto ci si chiede che cosa se ne faccia di una quota così ampia ma inferiore a quella di Vivendi, con cui non può allearsi perché scatterebbe l' obbligo di Opa, l' offerta pubblica di acquisto a tutti gli azionisti allo stesso prezzo pagato da lui per le azioni.
Il fatto è che il 20 per cento di Bollorè è già sufficiente a dargli il controllo sostanziale dell' azienda. Peraltro al 25 per cento scatta l' obbligo di Opa.
Quindi Bollorè non ha interesse a unire il suo pacchetto con quello di Niel per andare al 35 percento. Neppure Niel ha interesse a contendere il controllo di Telecom Italia a Vivendi: nella migliore delle ipotesi si troverebbero in un testa a testa al 24,9 per cento, lasciando agli altri azionisti il potere di decidere a quale dei due gruppi far vincere le assemblee.
Rimane una sola ipotesi ragionevole. Siccome si va verso un' inevitabile concentrazione dei gruppi telefonici europei è possibile che Niel, uomo ricco non solo di euro ma anche di relazioni, abbia captato nell' aria odore di matrimonio tra Telecom Italia e la Orange, ex France Telecom, paragonabile come dimensione e valore al gruppo italiano.
Orange è controllata dal governo francese con il 13,5 per cento insieme a fondi d' investimento con un quota analoga. In caso di fusione Niel, insieme aBollorè si troverebbero ben posizionati per partecipare al gruppo di comando, tutto francese, e il valore delle loro azioni farebbe un bel balzo in avanti.
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