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1. CINA:CROLLO BORSE,TIMORI OPERATORI INVESTONO L'ASIA
BOLLA FINANZIARIA ALLA BORSA DI SHANGHAI
(ANSA) - Tutte le Borse cinesi, compresa quella di Hong Kong, contagiata dal panico che ha travolto Shanghai e Shenzhen nella Repubblica Popolare Cinese, hanno chiuso in ribasso nonostante gli interventi e le promesse delle autorità, che hanno cercato di sostenere il mercato. Shanghai ha chiuso con un -5,9 %, Shenzhen con un -2,9% e Hong Kong con -5,8%. L'indice Hang Seng di Hong Kong ha toccato punte di ribasso dell'8% nel corso della giornata. I timori che la sfiducia si trasferisca dagli operatori di Borsa ai consumatori cinesi ha spinto verso il basso anche il mercato di Tokyo, che ha fatto registrare un calo del 3,1%.
Secondo gli analisti la situazione della Grecia non ha avuto alcuna influenza sul calo di oggi, dovuto interamente alle preoccupazioni per il futuro della seconda economia del mondo. Quello che preoccupa sono i tentativi di raffreddamento da parte del governo di Pechino che sono andati a vuoto. Oggi il governo ha ordinato alle compagnie statali di comprare azioni, ha aumentato la quantità di azioni che le compagnie di assicurazioni possono acquistare e ha promesso di continuare a fornire liquidita a credito agli investitori. Gran parte delle imprese quotate a Shanghai e Shenzhen hanno chiesto la sospensione della vendita delle loro azioni nel tentativo di fermare le perdite.
Articoli comparsi su molti media vicini al governo, come la rivista Caixin e il quotidiano Global Times, accusano l'agenzia responsabile del controllo del mercato, la China Securities Regulatory Commission (Csrc) di aver gestito nel modo sbagliato la crisi del mercato azionario, ingannando gli operatori che avrebbero concesso una fiducia eccessiva agli interventi "correttivi" delle autorità'.
Alcuni commentatori hanno affermato che la crisi "è diventata politica" mettendo in imbarazzo il premier Li Keqiang, massimo responsabile dell' economia, e che potrebbe costare il posto al presidente della Csrc Xiao Gang. Gli indici di Shanghai e di Shenzhen hanno registrato una crescita del 150% a partire dal giugno del 2014. Tre settimane fa hanno cominciato la discesa che ancora non è finita e che ha visto il valore complessivo delle Borse ridursi di oltre il 30%.
2. SCORDATEVI DI ATENE, IL VERO PERICOLO E’ LA BOLLA DI SHANGAI
Fabio Scacciavillani per il “Fatto Quotidiano”
Le farfalle che con un battito d’ali a Pechino possono provocare la tempesta di neve a New York (e nel resto del globo) svolazzano nella Borsa di Shanghai. Nel ruolo di crisalidi si distinguono le azioni di grandi società e banche, spesso semi-pubbliche, i cui prezzi sono schizzati in alto nei mesi passati, rescindendo il legame con la crescita economica e, di conseguenza, l’ancoraggio alla realtà. Le bolle finanziarie per gonfiarsi hanno bisogno di due elementi: il debito e la dabbenaggine euforica. Di entrambi la Cina ha accumulato notevoli quantità. In un Paese dove la gente adora il gioco d’azzardo, mentre le dinamiche finanziarie costituiscono un mistero glorioso, la dabbenaggine è la cifra dell’investitore medio.
Il debito invece ha bisogno della compiacenza, e spesso della fattiva complicità dei regolatori, unita al benestare politico. La poderosa crescita cinese a due cifre da un paio di anni si è afflosciata. L’economia è rimasta intrappolata in uno Stige social-capitalista, zavorrata dai conglomerati pubblici inefficienti, mentre alle più dinamiche piccole e medie imprese private sono centellinate risorse e capitali.
People s Bank of China dc fa d ed
A questo si aggiunge il peso di una burocrazia (non di rado corrotta) che per quanto evoluta rispetto agli standard sovietici, rimane occhiuta e perversa. Occorrerebbe ridisegnare un sistema più snello, libero ed efficiente depurato dall’eredità del collettivismo e affrancato dalle ubbie politiche, affinché 35 anni di transizione dalla miseria a un’econo - mia da 10 mila miliardi di dollari non deraglino verso il disastro. Purtroppo i riti gradualisti del potere comunista non consentono nette discontinuità col passato.
Quindi in attesa di regolare i conti tra le fazioni del Partito e sedare gli attriti tra Pechino e valvassori provinciali, il governo cinese (come del resto gli omologhi occidentali e giapponese) è ricorso alla droga monetaria per imprimere un impulso alla crescita. La Banca centrale - che ha un controllo in teoria pervasivo sugli intermediari finanziari (il governo cinese mantiene il controllo effettivo su oltre il 95% degli attivi bancari) - ha lasciato galoppare gli aggregati creditizi.
Secondo il Mac Kinsey Global Institute, il debito totale (di imprese, governo e famiglie) dal 153% del Pil nel 2007 è quasi raddoppiato fino a sfiorare il 300% nel 2014. Allo stesso tempo le autorità hanno chiuso gli occhi sulle prodezze di improbabili società finanziarie (il cosiddetto sistema bancario ombra) che allettavano i piccoli risparmiatori con promesse da Campo dei Miracoli. Risultato: il 30% del debito totale è stato finanziato da queste banche ombra (con esposizioni mostruose nell’immobiliare) e pochi rivedranno il loro capitale intatto. Infine, gli investitori hanno ottenuto prestiti generosi per acquistare azioni.
Risultato: il totale dei margin loans è quadruplicato in un anno, superando i 350 miliardi di dollari pari al 4,4% della capitalizzazione di borsa e facendo aumentare del 150% in 12 mesi l’indice azionario di Shanghai. Poi, come il volo di Icaro, dal 12 giugno scorso i corsi azionari hanno inesorabilmente invertito la traiettoria. In tale marasma (stigmatizzato in un recente rapporto della Banca Mondiale) la Banca centrale, per attenuare la botta, ha abbassato il tasso di interesse e i coefficienti di riserva obbligatoria, al contempo concedendo ampia clemenza sulle margin call. Meri palliativi, perché la leva finanziaria, quando la bolla si gonfia, dispiega i suoi effetti con gradualità. Dopo lo scoppio invece obbliga gli investitori esposti a vendite precipitose, che polverizzano i risparmi: il totale dei margin loans in Cina è sceso di 46 miliardi di dollari in due settimane.
Dal 12 giugno in tre settimane consecutive di tonfi la Borsa di Shanghai ha perso circa il 30%. A quel punto, e siamo alla cronaca dello scorso weekend, gli alti papaveri hanno avvertito l’onda di panico e varato una raffica di misure straordinarie: autorizzazione per i fondi pensioni a investire in azioni, pressioni psicologiche contro vendite allo scoperto, aumento dei costi per i venditori di futures sugli indici, sospensione delle nuove quotazioni in Borsa, impegni del fondo sovrano cinese, liquidità a go-g ò.
Addirittura 21 grandi brokers cinesi hanno messo sul piatto quasi 20 miliardi di dollari per sostenere i prezzi azionari riportando alla memoria l’analoga iniziativa presa dai loro colleghi americani alla vigilia del crac del ‘29. Gli scambi giornalieri talora ammontano a 100 miliardi di dollari non appare una mossa risolutiva. Nonostante da due giorni la Borsa di Shanghai si sia stabilizzata, in pochi escludono ulteriori smottamenti necessari a riconciliare quotazioni e fondamentali.
Nel migliore dei casi, la bolla offusca l’aura di competenza della leadership e mette a repentaglio il processo di transizione verso un’economia di mercato basata su servizi e consumi, con una finanza solida integrata nel sistema mondiale e lo yuan a sostegno dell’architettura monetaria internazionale. Nel peggiore dei casi, i piedi di argilla del colosso cinese rischiano di farci ripiombare in un incubo Lehman elevato al cubo.
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