DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Rosario Dimito per “il Messaggero”
C’è del fumo in Piazza Affari. A breve atterrerà in Borsa un simbolo del made in Italy, protagonista da 200 anni della storia e del costume oltre ad essere fra i prodotti più esportati all’estero. Manifatture Sigaro Toscano (MST) è pronta ad aprire il capitale con un’Initial public offer (Ipo) entro luglio: dovrebbe essere un’operazione fondata quasi per intero su un’Offerta di vendita (Opv) per consentire ai soci di monetizzare il proprio investimento.
Ed è possibile che a cavallo della quotazione, il gruppo con sede a Roma possa portare a termine la terza acquisizione, anch’essa all’estero. In Europa c’è un altra società di sigari quotata: è la STG di Copenhagen.
LA FUSIONE INVERSA
I tempi dello sbarco sono stringenti e il gruppo presieduto da Aurelio Regina sta cercando di bruciare le tappe con la nomina delle banche. I global coordinator dovrebbero essere Banca Akros (Banco Bpm), Credit Suisse, Unicredit che a breve dovrebbero ricevere il mandato formale anche se già starebbero lavorando per avviare la quotazione. Per rendere più agevole il processo, il gruppo ha già provveduto a un riassetto funzionale della filiera societaria.
A fine marzo le rispettive assemblee hanno deliberato una fusione inversa: MST - controllata da Italiana Tabacchi (79,5%), Comunimpresa con il 10,25% (si tratta del veicolo interamente gestito dalla fiduciaria Spafid per conto di Regina) e Aragorn Value Leadership (Francesco Valli) con l’altro 10,25% - ha incorporato la controllante Italiana Tabacchi.
Quest’ultima era partecipata dalla Seci, holding del gruppo Maccaferri con il 63%, Matteo Tamburini (ad di MST con l’1%), Antelao (Piero Gnudi) con il 18%, Mcg holding (Luca Cordero di Montezemolo) con il 18%. Ad esito della fusione, la nuova MST ha un azionariato dove Seci mantiene il controllo (50%), Montezemolo e Gnudi il 14,3% a testa, Regina e Valli il 10,2% ciascuno, Tamburini lo 0,7%.
Da segnalare che Banco Bpm ha in pegno il 7,95% della società romana a fronte di un finanziamento originario di 14 milioni: con la fusione la quota si è diluita al 7,95% e anche il prestito è sceso sotto i 5 milioni. Sistemata la struttura societaria del gruppo, ora il cantiere della quotazione può accelerare. Sabato scorso ci sarebbe stato un vertice in casa Seci per l’avanzamento del piano Ipo. A giorni verranno formalizzati i mandati alle banche dopo la decisione del cda di presentare il filing in Consob.
In Piazza Affari dovrebbe essere quotato il 30-35% del capitale. È probabile che il pacchetto sia in prevalenza riveniente dalla vendita proquota da parte dei soci. Una piccola porzione (attorno al 5%) potrebbe provenire da un aumento di capitale: soldi rastrellati sul mercato per supportare lo sviluppo, a cominciare dalla terza acquisizione. Nel mirino ci sarebbe un’azienda americana del settore con piantagioni e stabilimenti nella zona caraibica.
Potrebbe costare fino a 150 milioni. Finora il gruppo, nato a marzo 2006 quando Maccaferri ha acquistato da Bat Italia per 95 milioni il ramo d’azienda produttore e venditore dei sigari a marchio Toscano, ha messo a segno due acquisizioni: nel 2008 i sigari Pedron dal gruppo svizzero Burger Söhne e tre anni fa Avanti Cigar Company entrando nel mercato Usa.
Anche grazie a queste acquisizioni i volumi 2017 sono cresciuti: i ricavi sono saliti del 20% a 105 milioni con un ebitda di 32 milioni. Si consideri che la quota dei ricavi proveniente dall’estero è di circa il 19%. Le prime valutazioni delle banche oscillano su valori attorno a 400 milioni, pari a un multiplo superiore a 12 volte che compara il gruppo alle società del lusso.
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