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St.E. per "Il Sole 24 Ore"
«Non sempre si può vincere». Con questo biglietto Giuseppe Orsi in un hotel a cinque stelle di New Delhi accompagnò una bottiglia di champagne offrendola al tavolo della delegazione dell'americana Sikorsky aircraft corporation, incontrata per caso al ristorante dell'hotel. Gli americani non la presero bene. Si alzarono da tavola e se ne andarono arrabbiatissimi.
L'episodio va contestualizzato. Era il giorno successivo alla vittoria nella commessa per la cessione all'Aeronautica indiana dei 12 elicotteri modello 101 Vvip destinati alle «personalità locali». A raccontarlo (più di una volta) è stato l'intermediario Guido Haschke (indagato per corruzione internazionale) a Luciano Zampini, amministratore delegato della Ansaldo Energia, che ai tempi dell'affaire non era già più in lizza con Orsi nella corsa alla carica di ad della Capogruppo.
Ieri Ennio Amodio, legale di Giuseppe Orsi, si è chiesto, in modo palesemente retorico, la ragione per la quale Haschke abbia cambiato la propria versione dei fatti in modo così radicale, di fatto accusando se stesso e il top management di Finmeccanica e di Agusta Westland. Lasciando intendere che dietro le dichiarazioni dell'intermediario (che, oltre che alla cittadinanza svizzera e italiana, ha anche quella americana) potrebbe esserci un ispiratore occulto.
Una domanda simile, anche se diversa nella sua formulazione e nei suoi contenuti, la si può leggere a pagina 25 e 26 della deposizione di Zampini. Il manager, sentito dal magistrato il 14 novembre del 2012 presso la procura di Busto Arsizio, riferisce di avere incontrato Haschke nel marzo del 2012 presso la sede della società . E ricorda che Haschke «mi chiedeva anche che cosa stesse accadendo all'interno di Finmeccanica, come a volere attribuire a scontri interni le indagini condotte dalla magistratura e le continue fughe di notizie, io non sapevo per mio conto dare alcuna risposta alle sue domande. Erano note anche a me le contrapposizioni all'interno di Finmeccanica ma non avevamo alcun elemento per collegarle alle indagini e alle fughe di notizie. Tanto è vero che gli rammentai un fatto che egli mi aveva in precedenti incontri raccontato. (l'episodio del ristorante di Nuova Delhi, ndr). E gli dissi: "Sei proprio sicuro che tutto questo non parta dagli americani?"».
Già perché, come ha riferito ieri l'avvocato Amodio, grazie al "ritocco" al ribasso della quota operativa degli elicotteri (da 18mila piedi a 15mila piedi) anche gli italiani, i russi e gli americani avrebbero potuto partecipare a un'asta che, diversamente, se non fossero intervenuti i cambiamenti, avrebbe lasciata la commessa ai soli competitor francesi. Orsi si chiama fuori anche da questo rievocando di non avere mai saputo di questa decisiva variante in corso d'opera al capitolato.
Un altro equivoco sulla vicenda - sempre per la difesa di Giuseppe Orsi- è quello sorto a proposito del riacquisto a prezzi non proprio d'occasione di un lotto di elicotteri ceduti a suo tempo al governo indiano dall'allora inglese Westland. Un lotto di elicotteri fallati che causarono non poche tribolazioni nelle relazioni tra il governo indiano e quello britannico. Di qui sarebbe nata la decisione di accogliere l'esortazione di New Delhi a riprendere in carico gli elicotteri, presa - sostiene Orsi - per ragioni d'immagine. Un ritiro dell'"usato insicuro" che sarebbe stato pagato ben oltre il suo valore.
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