DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
All’interno di Saipem, tra l’1 dicembre 2012 giorno dell’avviso di garanzia al direttore generale Pietro Varone (da allora allontanato dall’ufficio) e il 19 dicembre giorno del sequestro del suo computer aziendale, le sue mail sono state distrutte. È quanto dichiara al giudice Alfonsa Ferraro l’ex manager licenziato da Saipem e arrestato nell’estate 2013, su cui la Procura di Milano fonda parte delle accuse all’ex presidente Eni Paolo Scaroni (e ad altri dirigenti Saipem e Eni) di corruzione internazionale dell’allora ministro algerino dell’Energia, Chekib Kelil, con 200 milioni Saipem al latitante mediatore Farid Bedjaoui.
Un riscontro materiale c’è: sul pc aziendale di Varone, nel periodo in cui non ne aveva più la disponibilità, c’è traccia in effetti di almeno 5 accessi. Ma è prematuro dire se siano legati alla sparizione della mail, e se essa sia a sua volta riconducibile a interessi aziendali come ventila Varone: «Saipem ed Eni hanno sempre portato avanti la teoria che questa cosa», cioè i 200 milioni di commissione da Saipem a Bedajoui, «fosse un qualcosa di me, e non aziendale»: invece per Varone «la preparazione degli accordi di intermediazione è stata concordata lungo un anno con Tali, Bernini e Galizzi, ognuno per la propria competenza», rispettivamente in Saipem amministratore delegato, direttore finanziario (poi anche in Eni) e capo ufficio legale.
Le bozze degli accordi, ad esempio, «mi fu risposto che erano state viste in Eni ed erano conformi» ai codici etici e ai criteri Eni anticorruzione. Risposto da chi? Ad esempio dal direttore dell’ufficio legale di Saipem, che — sempre a dire di Varone — aveva in Mantovani, alla guida dell’ufficio legale dell’Eni, «un capo, tra virgolette», un «referente», un «filtro», perché «Saipem era indipendente solo formalmente, nella sostanza certi servizi sono sempre stati sotto il controllo… L’ufficio legale riferiva sempre alla controparte Eni; la finanza idem con patate; la parte safety idem con patate».
Riguardo un’altra commissione pagata da Saipem per un appalto di interesse Eni, Varone sostiene che il responsabile dell’area Nord Africa di Eni, Antonio Vella, «mi ha sempre detto: “Sì, ho l’approvazione di Descalzi (oggi numero 1 Eni, ndr ) ad andare avanti su questa iniziativa”»; e accredita «una disciplina militare nella gerarchia» dentro il gruppo, per cui l’ad «Tali era la persona che parlava con Scaroni». Ma «il problema, ahimè, è che le mie mail in Saipem sono scomparse stranamente, sono state tolte» tra l’1 e il 19 dicembre 2012, «e in quei 18 giorni solo Dio sa cosa è successo».
Che vuol dire? «Lei, giudice, capisce che, per poter sostenere questa teoria di me capro espiatorio, bisognava eliminare qualunque tipo di prova che potesse invece collegare l’attività con gli altri attori. Semplice». Ed «ecco perché continuo a dire che la scomparsa delle mie mail è abbastanza sospetta», aggiunge Varone pungendo anche i pm: «Per la prima volta in una storia investigativa, un computer è stato 18 giorni in balìa di nessuno».
Varone diventa invece miele per le difese quando nega di aver saputo che i soldi di Saipem all’agente Bedjaoui siano finiti al ministro del petrolio legatissimo a Bedjaoui: «È chiaro che c’è stato un rapporto anche economico tra loro, ma possono essere soldi personali, o di famiglia, non ho la minima idea. Bedjaoui non mi ha mai detto “Io do i soldi di Saipem al ministro”».
E utile alla difesa è anche quando Varone spiega i 200 milioni non come corruzione ma come «un’imposizione del sistema Paese, che non lasciava alternative» per scansare «le trappole che gli algerini mettevano sul percorso per cacciare via chi non era ubbidiente ai loro desiderata. Le gare sono assegnate al prezzo più basso», con tanto di «apertura delle buste in tv», ma per arrivarci era prima «assolutamente necessario affidarsi a qualcuno, a un servizio attivo per permetterci di non esser fucilati nel momento della valutazione tecnica» del bando.
E nonostante i 200 milioni pagati, «la maggioranza di appalti per i quali Bedjaoui aveva il contratto di agenzia non sono stati aggiudicati a Saipem», che comunque ha preso «tra i 7 e i 9 miliardi di euro di lavori, che senza l’intervento di Bedjaoui non sarebbero mai stati presi».
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