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    C’È POCO DA AVERE FED - JEROME POWELL, PRESIDENTE DELLA FED, ANNUNCIA LA LINEA DURA CONTRO L’INFLAZIONE E FA CROLLARE I MERCATI: TRA LE BORSE EUROPEE, MILANO È QUELLA CHE PIÙ DI TUTTE NE HA FATTO LE SPESE CHIUDENDO A -2,49%. PER LA FEDERAL RESERVE LA RICETTA È "CONTINUARE AD AUMENTARE I TASSI DI INTERESSE E MANTENERLI ALTI FINO A QUANDO LE CONDIZIONI SOCIOECONOMICHE NON SARANNO TORNATE ALLA NORMALITÀ": "RISCHIA DI INDEBOLIRE IL MERCATO DEL LAVORO E CAUSARE UN CERTO DOLORE ALLE FAMIGLIE E ALLE IMPRESE, MA…" (ANNAMO BENE)


     
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    Alessia Conzonato per il “Corriere della Sera”

     

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    Continuare ad aumentare i tassi di interesse e mantenerli a un livello più alto, almeno fino a quando le condizioni socioeconomiche non saranno tornate alla normalità. Ecco l ricetta della Federal Reserve per tenere sotto controllo l'inflazione. Il processo «rischia di indebolire il mercato del lavoro e causare un certo dolore alle famiglie e alle imprese», ha ammesso il presidente della Fed, Jerome Powell, nel suo atteso discorso al simposio di Jackson Hole, nel Wyoming.

    «Useremo vigorosamente tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione». Gli sforzi per riportare la stabilità dei prezzi, quindi, implicherà «qualche dolore» - così li ha definiti lo stesso Powell - e richiederà tempo, ma «più l'inflazione resta alta e più sarà un problema», ha aggiunto.

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    Il risultato delle ultime due riunioni dei funzionari della Fed è stato un rialzo di 75 punti base per ciascuno dei tassi, portando l'intervallo tra il 2,25% e il 2,50%. Il prossimo incontro è previsto a settembre, ma il numero uno della Banca centrale degli Stati Uniti non ha rivelato se la portata dell'aumento sarà, come ipotizzato dalle previsioni, di mezzo punto percentuale o di altri 75 punti base. Di certo, «dipenderà dall'insieme dei dati che giungeranno e dall'evolversi delle prospettive», ha spiegato Powell. Tuttavia, il presidente ha specificato che gli obiettivi della Fed guardano ben oltre i risultati che si possono notare in solo alcune settimane: «Il miglioramento su un singolo mese non basta al board per essere fiduciosi che l'inflazione si stia abbassando - ha detto -, dobbiamo continuare fino a quando il lavoro non sarà finito».

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    A luglio l'indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti ha registrato un aumento dell'8,5% su base annuale: al di sotto dell'8,7% previsto e in leggera discesa rispetto al 9,1% segnato a giugno, ma pur sempre molto alto e lontano che ha fissato la Fed. Nonostante alcuni segnali contrastanti di crescita, infatti, secondo Powell, l'economia «continua a mostrare un forte slancio di fondo». Ma la strategia della banca centrale, infatti, sarà spostare la sua posizione politica a un livello «sufficientemente restrittivo da riportare l'inflazione al 2%» nel medio periodo.

     

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    Solo a un certo punto, «con l'ulteriore inasprimento della politica monetaria - ha poi aggiunto Powell -, sarà probabilmente opportuno rallentare il ritmo degli rialzi». «Mentre i tassi di interesse più elevati, la crescita più lenta e le condizioni del mercato del lavoro più flessibili faranno scendere l'inflazione - ha dichiarato ancora Powell -, ci sarà un impatto negativo anche sulle tasche delle famiglie e delle imprese. Questi sono gli sfortunati costi della riduzione dell'inflazione. Ma un fallimento nel ripristinare la stabilità dei prezzi sarebbe ancora peggio per l'economia».

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    Tra i presenti al Jackson Hole, Gita Gopinath, capo economista e numero due del Fondo monetario internazionale, ha sostenuto la linea di Powell: «Le banche centrali devono agire in modo deciso per riportare l'inflazione al loro obiettivo e ancorare le aspettative», ha detto nel suo intervento. Allo stesso modo, il membro del Consiglio direttivo della Bce, Klaas Knot, ha sostenuto che è necessario «aumentare i tassi ogni sei settimane fino a quando l'inflazione non si stabilizzi».

     

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    La Banca centrale americana, quindi, tira dritto nella sua lotta contro il rialzo dei prezzi. Le parole da falco di Jerome Powell hanno chiarito come la Federal Reserve ora non escluda completamente una possibile recessione negli Stati Uniti e, come era prevedibile, non sono passate inosservate ai mercati finanziari, dall'Europa fino a Wall Street.

    Tra le Borse del Vecchio continente, Milano è quella che più di tutte ne ha fatto le spese: la seduta di ieri si è chiusa con il Ftse Mib a -2,49%, a 21.895 punti, e i titoli di Stato italiani sono risultati tra i più colpiti, al punto che lo spread con i Bund tedeschi si è allargato fino a 229 punti base con un massimo di giornata che ha toccato i 234 (rispetto ai 223 della seduta precedente).

     

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    Francoforte ha chiuso a -2,27%, Parigi ha concluso le contrattazioni con un di 1,68%, mentre Londra ha chiuso gli scambi a -0,70%. Anche Wall Street ha subito una brusca frenata: l'indice Dow Jones ha ceduto l'1,31%, attestandosi a 32.584,47 punti base, mentre il Nasdaq ha chiuso a -1,93%, a 12.396,57 punti base e l'indice S&P500 a -1,64%, a 4.130,10 punti base. L'euro si è mantenuto sopra la parità con il dollaro, che ha concluso la seduta a 1,009 dollari recuperando dalla seduta precedente (0,9934 in chiusura).

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