Ubaldo Cordellini per "la Stampa"
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È stata violentata. In quanto albina, ha rischiato di diventare vittima di un sacrificio umano in Nigeria. Ora, a Trento, festeggia la laurea in Italia. Joy Ehikioya compirà 24 anni il prossimo 20 novembre e ha già vissuto almeno tre vite. Quarta di quattro figli, è nata in una famiglia molto unita in Nigeria, ma agli occhi di tutti aveva una colpa: la pelle bianca. A poco più di 18 anni è stata rapita da uomini che l'hanno stuprata e poi volevano sacrificarla perché convinti che il suo sangue potesse portar loro ricchezza. È riuscita a scappare, ma è stata soccorsa da un uomo che l'ha venduta a un'organizzazione che gestisce la tratta delle donne verso l'Europa. Dopo aver attraversato il Mediterraneo, ha risalito la penisola ed è arrivata a Trento dove è entrata nel progetto di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo dell'Università.
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Mercoledì pomeriggio questa storia tragica e rocambolesca ha avuto il migliore degli epiloghi: Joy si è laureata in Comparative european and international legal studies, un corso della facoltà di Giurisprudenza completamente in lingua inglese, con una tesi che parte dal suo vissuto. Integration as an aftermath of migration è il titolo del lavoro, dedicato proprio alla promozione di un'integrazione efficace di chi arriva da lontano. È la prima iscritta al progetto di accoglienza a raggiungere il traguardo della laurea. Ora Joy desidera soprattutto dimenticare: «Con questa laurea voglio voltare pagina. Chiudere il libro e aprirne un altro. Ho un'altra vita davanti». Già perché le sue precedenti vite l'hanno portata più volte sull'orlo della morte.
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I genitori per proteggerla si trasferivano di continuo per evitare che qualcuno potesse prenderla di mira a causa del suo albinismo. Ma nel gennaio del 2016, quando si sentiva quasi al sicuro, tre uomini l'hanno rapita mentre faceva jogging all'alba a pochi metri di casa. E lì è cominciato l'incubo che lei stessa ha raccontato in un diario drammatico: «Ero solo a due isolati da casa, improvvisamente mi trovai faccia a terra, sentii un colpo. Avevo gli occhi aperti ma non riuscivo a vedere molto, solo tre uomini che mi trascinavano nel baule di una macchina. Non sono riuscita ad opporre resistenza e ad un certo punto sono svenuta. Mi svegliarono con un secchio d'acqua fredda. Ero in una stanza piena di diversi tipi di scheletri e di immagini di idoli appese. Capii subito che stava accadendo ciò da cui i miei genitori stavano tentando di scappare».
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La ragazza sapeva che stava per essere sacrificata alla superstizione violenta di quegli uomini, ma non pensava che avrebbe dovuto anche affrontare l'orrore dello stupro: «Mi dicevano: albina per piacere fai che la tua testa ci porti molto denaro, fai che per noi non ci sia sofferenza per il resto della nostra vita, portaci molti soldi. Dall'altra parte vidi un altro uomo spogliarsi. Sapevo che era finita e sperai in una morte naturale. Non avrei mai immaginato che sarei stava violentata da due uomini». Quando i suoi aguzzini se ne andarono, Joy riuscì a liberarsi e a saltare dalla finestra, ma atterrò su una distesa di cocci di bottiglia.
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Nonostante questo riuscì ad arrivare alla strada dove fu raccolta da una donna e un uomo, fratello e sorella, che le promisero di riportarla a casa, a Lagos. La medicarono, la rifocillarono e la vendettero alla tratta delle ragazze destinate ai marciapiedi europei. Attraversò il deserto del Niger, colpita con la frusta al minimo fiato. Venne stuprata di nuovo, ogni notte: «Dentro di me mi sentivo macellata», racconta. I giorni diventarono mesi finché Joy e le altre ragazze finirono nelle mani di un arabo che, colpito da una sorta di pentimento, le mise su una barca e le fece raggiungere l'Italia. Era il luglio 2016. Cinque anni dopo per Joy, la dottoressa Joy, inizia una nuova storia. Che ci racconta anche dei miracoli che un buon progetto d'integrazione può compiere.
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