Francesco De Dominicis per “Libero Quotidiano”
BREXIT - THE MIRROR
Non è chiaro se Apple accoglierà l’invito della Gran Bretagna a trasferire le società ora piazzate in Irlanda. Certo, dopo la batosta fiscale imposta dalla Commissione Ue - che pretende 13 miliardi di euro di tasse arretrate - la società di Cupertino un pensierino a spostare le sedi societarie da Dublino a Londra lo farà. Per l’erario d’Oltremanica non sarà la svolta, ma si tratta dell’ennesimo «regalo», magari indiretto, che l’Unione europea fa agli inglesi. Che continuano proprio in questi giorni a gongolare sui numeri «interni» dell’economia. Prendete i dati di ieri relativi alla fiducia del settore pmi manifatturiero: l’indice è salito ad agosto, in Gran Bretagna, ai massimi da 10 mesi.
Un boom cagionato dalla sterlina che si è indebolita rispetto alle altre monete dopo il referendum sulla Brexit. Una svalutazione repentina che, ovviamente, ha giocato in favore delle esportazioni. Ragion per cui la fiducia dei manager - misurata proprio dall’indice pmi - è schizzata a 53,3 punti ribaltando il dato di luglio, quando era inferiore a quota 50, vale a dire sotto la soglia che marca la differenze tra contrazione ed espansione del ciclo economico (e le attese degli analisti erano per 49 punti).
theresa may
È probabile che la sbornia post Brexit si possa attenuare. Magari il dollaro e l’euro si apprezzeranno un po’, nelle prossime settimane, e l’export britannico sarà meno euforico. Per ora nulla è cambiato, anzi, nemmeno per gli imprenditori «immigrati». Come i ristoratori italiani che, uno dopo l’altro, continuano ad aprire locali per portare idee sempre più innovative nella capitale mondiale della cucina multietnica.
I proprietari di ristoranti del nostro Paese a Londra non sono affatto preoccupati. Tutt’altro. I circa tremila locali italiani di Londra, fra gli originali e le tante imitazioni, come gli altri locali della metropoli stanno vivendo un boom estivo di clienti nonostante i britannici abbiano votato nel referendum per l’abbandono dell’Ue, come ha mostrato di recente un rapporto della Cbi, la confindustria britannica.
MAY E MERKEL 4
Non ci sono timori, dunque. Ma dentro i confini britannici c’è chi spera in un clamoroso ripensamento. Come l’ex premier Tony Blair, secondo il quale l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue è ancora possibile se si riesce a cambiare l’opinione pubblica. In un’intervista alla radio francese Europe 1, ripresa dal sito del Guardian, Blair ha affermato che i cittadini britannici hanno il diritto di cambiare idea, in particolare nel caso in cui si verifichino nei prossimi mesi una serie di conseguenze economiche negative, come un forte calo della produzione industriale o la riduzione degli investimenti stranieri.
BLAIR
Per il leader Labour, europeista convinto, ora i sostenitori della campagna referendaria «Remain », uscita sconfitta dal voto del 23 giugno, devono rimboccarsi lemaniche e cercare di convincere i pro Brexit. Tornando al caso Apple, il vertice del colosso americano è comunque pronto a dare battaglia all’Ue e all’Irlanda. L’amministratore delegato, Tim Cook, ha parlato di una decisione «politica» e non basata sui fatti, che «manda su tutte le furie». Il top manager di Cupertino ha detto che a livello globale Apple paga un’aliquota del 26% e quello 0,005% calcolato dall’Ue è una «invenzione».
Di qui l’intenzione di rimpatriare negli Stati Uniti di tutti i fondi della Mela parcheggiati all’estero: in ballo c’è un tesoro di 215 miliardi di dollari (in totale le aziende americane hanno «lontano da casa» ben 2.000 miliardi di dollari proprio per sfuggire al fisco dello Zio Sam).
tim cook apple
Molto dipenderà anche dalle dichiarazioni dei due candidati alla Casa Bianca, Hillary Clinton e Donald Trump, che per ora non si sono pronunciati. Hillary si è limitata a proporre misure contro le cosiddette «inversioni fiscali ».
Trump, che ha più volte invitato a boicottare i prodotti di Apple, ha minacciato di punire le aziende che ricollocano le loro attività all’estero imponendo tasse sui prodotti che vendono negli Usa. L’Ue è preoccupata, allo stesso tempo, dall’eventualità di perdere una potenza di fuoco finanziaria comunque utile. Una risorsa che sarebbe un peccato sprecare.
MARGRETE VESTAGER
Ragion per cui, con l’obiettivo di smorzare i toni del confronto, la commissaria europea alla concorrenza, Margrethe Vestager, ha annunciato ieri che vedrà nelle prossime settimane il segretario al Tesoro Jack Lew, con il quale c’è l’interesse e l’impegno comune a riformare le norme per combattere l’elusione fiscale.