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    “CACCIATE LE LESBICHE, SONO ANTI TRANS” – CI MANCAVA SOLO LA FAIDA DI GENERE NEL MONDO LGBT - APPELLO DI ARCIGAY PER ESPELLERE LA SIGLA FEMMINILE DALLA FEDERAZIONE ARCI: “DA ANNI ESPRIME POSIZIONI TRANSFOBICHE”. LA CONTRARIETÀ ALLA MATERNITÀ SURROGATA È QUALCOSA CHE LA COMPONENTE MAGGIORITARIA DEL FRONTE LGBT NON HA MAI PERDONATO ALLA SUA COSTOLA FEMMINILE. IL VERO NODO DEL CONTENDERE È…


     
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    Giuliano Guzzo per “la Verità”

     

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    Arcilesbica fuori dall' Arci. È l' appello, assai netto, che alcuni attivisti Lgbt hanno rivolto in questi giorni a Francesca Chiavacci, presidenti di Arci, chiedendo appunto l' allontanamento della storica sigla lesbica dalla federazione. Tale richiesta, promossa da Daniela Tomasino, Christian Leonardo Cristalli, Alberto Nicolini, e Mattia Galdiolo - quasi tutti militanti di Arcigay -, ha raccolto l' adesione di un centinaio tra circoli e collettivi, oltre che di 3.000 singoli, e poggia su una considerazione dal sapore paradossale: la presunta transfobia di Arcilesbica.

     

    «Da alcuni anni», recita infatti la petizione, «Arcilesbica usa i propri canali di comunicazione per esprimere posizioni transfobiche e trans-escludenti, sempre più in aperto contrasto con i valori e con lo statuto della federazione Arci di cui fa parte». Per questo il documento chiede apertis verbis «alla federazione di valutare l' espulsione di Arcilesbica».

     

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    A scatenare gli animi in casa arcobaleno è stato un evento on line, tenutosi domenica 31 maggio, sostenuto dall' associazione lesbica e volto a lanciare in Italia la Declaration on women' s sex-based rights, documento che in pratica denuncia la discriminazione ai danni delle donne nel momento in cui il dualismo maschile e femminile viene soppiantato, sotto il profilo nozionistico, da un linguaggio centrato sull' identità di genere. Questo il richiamo alla prospettiva valoriale del femminismo della differenza costato ad Arcilesbica l' accusa di transfobia.

     

    Ma l' appello rivolto alla Chiavacci e ad Arci, a ben vedere, non rappresenta che l' ultima di una serie di tensioni interne all' associazionismo arcobaleno in corso da anni. Arcigay non ha infatti mai digerito la contrarietà della controparte femminile alla pratica dell' utero in affitto, una contrarietà che Arcilesbica motiva - si leggeva su una sua nota ripresa dal Manifesto del 5 novembre 2015 - sostenendo che «il primato femminile rispetto al generare è un dato che appartiene all' ordine delle cose ed è l' unica differenza che non può non essere riconosciuta».

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    Una posizione forte ma che, va chiarito, non riguarda solo l' associazionismo lesbico italiano, come testimonia l' attività del Clf, acronimo che sta per Coordinamento lesbiche francese il quale, sotto la guida di Jocelyne Fildard e Catherine Morin Le Sech, nel febbraio 2016, a Parigi, tenne un convegno per chiedere l' abolizione universale dell' utero in affitto; dunque Arcilesbica altro non fa che seguire un filone femminista di respiro internazionale.

     

    Ciò nonostante, la contrarietà alla maternità surrogata è qualcosa che la componente maggioritaria del fronte Lgbt non ha mai perdonato alla sua costola femminile. Tanto è vero che, da anni, la presenza di Arcilesbica ai pride rappresenta più l' eccezione che la regola e nel 2018, per l' associazione, è arrivato addirittura lo sfratto dal Cassero di Bologna, sua storica sede.

     

    La richiesta di espulsione di Arci non è insomma un fulmine al ciel sereno, costituendo come si ricordava solo l' epilogo di una lotta intestina al mondo arcobaleno tutto fuorché nuova, anche se ultimamente sta toccando apici di inaudita violenza.

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    Come ha notato anche Monica Ricci Sargentini del Corriere della Sera, adesso si è difatti arrivati alle minacce ai danni delle militanti della sigla lesbica.

     

    Basti qui ricordare una giovane socia dell' associazione, in questi giorni, ha ricevuto sul suo profilo Instagram perfino una minaccia di stupro, che non abbisogna di commenti tanto suona bestiale: «Attenta quando torni a casa la sera, che se ti becchiamo finisci con una mazza in ogni buco».

     

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    Ora, parole simili, in un Paese normale, oltre che notizia avrebbero fatto scandalo. E invece, se non fosse per osservatori attenti come la Sargentini, sarebbero state liquidate come scaramucce.

     

    Il che è a dir poco inaccettabile e, a ben vedere, pure paradossale. Sì, perché all' esame del nostro Parlamento, come noto, c' è in queste settimane un disegno di legge contro omofobia e transfobia che, se diventasse legge, potrebbe comportare non pochi guai proprio al quel mondo arcobaleno che in teoria dovrebbe tutelare.

     

    Come infatti escludere, se la norma passasse, che Arcigay possa denunciare Arcilesbica per transfobia a causa del suo rifiuto ad abbandonare il riferimento al dualità maschile e femminile? E allo stesso modo, come dare torto alle militanti dell' associazione che, minacciate di stupro, domani sollevassero contro gli attivisti della controparte maschile l' accusa di omofobia?

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    Apparentemente provocatori, simili dubbi pongono in realtà un tema concreto, dato che un conto è l' approvazione di una norma a tutela delle minoranze e un altro, ben diverso, è la sua applicazione. Soprattutto in considerazione del fatto che, diversamente dalla narrazione mediatica, la galassia arcobaleno è lontana anni luce dal «love is love» di obamiana memoria. E appare dominata, come i fatti ricordati provano, da scontri, rivalità e lotte che, con lo sbandierato primato dell' amore, non hanno nulla a che spartire.

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