Carlo Bonini e Maria Elena Vincenzi per “la Repubblica”
carlo bonini
Sollecitata dal caso Siri, il sottosegretario alle Infrastrutture della Lega indagato dalla Procura di Roma per corruzione, e lesta nel soccorso dell'azionista di maggioranza del Governo, Matteo Salvini, si è messa al lavoro la "macchina del rumore". Una variopinta e ormai stagionata compagnia di giro - giornalisti, parlamentari, social influencer - specializzata in Operazioni Confusione. Quelle che devono accreditare come « falso » ciò che è vero. Come «inesistente» e «fantasma», ciò che al contrario esiste.
Scommettendo sulla vecchia regola degli spin doctor. Se non puoi dimostrare che una cosa è falsa, fallo almeno credere. A qualcuno il dubbio resterà. E dunque, ieri mattina, strilla il quotidiano la Verità, una «rivelazione choc» di uno dei pm romani consente di concludere che quanto raccontato da Repubblica e il Corriere della Sera nei giorni scorsi è «un fake». Che «l'intercettazione dei 30 mila euro contro Siri non esiste».
ARMANDO SIRI MATTEO SALVINI
«È un tarocco». Al punto - si spiega con la certezza dell' indicativo - che « nel fascicolo dell' inchiesta l'audio non c'è» e non è saltato fuori neppure «dopo giorni di scartabellamenti». Oibò. La faccenda è assai ghiotta. Non fosse altro perché - guarda un po' che coincidenza - cade proprio nelle ore in cui il premier di un Governo ormai politicamente dissolto avoca a sé la decisione sulla permanenza o meno nel gabinetto di Siri. Sotto un diluvio di chiacchiere, i fatti si dissolvono e la storia può essere riscritta a mano libera.
Dunque, come stanno le cose? Repubblica è tornata a sollecitare diverse e qualificate fonti della Procura di Roma con accesso agli atti di indagine che consentono di ricostruire con esattezza questa storia e i suoi punti documentalmente acclarati. A cominciare da quello dirimente.
belpietro
L'INTERCETTAZIONE DEL SETTEMBRE 2018
Nel fascicolo è regolarmente trascritta (al punto che sarà presto depositata al Tribunale del Riesame) una lunga intercettazione ambientale del settembre 2018 in cui è incisa la conversazione tra l'ex deputato Paolo Arata e il figlio imprenditore Francesco.
L'intercettazione - con buona pace di chi ciancia di «fantasmi» e ricerche affannose negli archivi - è stata registrata dalla Dia (che ne conserva copia), messa a disposizione dei pubblici ministeri, richiamata in un' informativa del 29 marzo 2019, e persino riascoltata nelle ultime ventiquattro ore dagli inquirenti, per verificarne, con esito positivo, il tenore e il contenuto.
ARMANDO SIRI
Che - spiegano due diverse fonti di Procura - « hanno un' interpretazione univoca. La stessa che è a fondamento del reato contestato all' indagato e al provvedimento di perquisizione di giovedì della scorsa settimana». Fissiamo dunque un primo punto. Non solo l' intercettazione esiste, ma è proprio il suo contenuto quello su cui si fonda l'iscrizione al registro degli indagati di Siri. Dunque, è "la conversazione". È la pietra angolare dell'imputazione. Perché è lì che si fa riferimento a Siri e ai 30 mila euro.
LA CONVERSAZIONE
Come riferiscono ancora fonti di Procura, «la conversazione intercettata non consente di stabilire se i 30 mila euro siano stati effettivamente pagati o, al contrario, soltanto promessi. Ma questo, sotto il profilo della contestazione del reato, non cambia le cose». A ben vedere, la "macchina del rumore" e chi allegramente è salito sopra la sua giostra avrebbero potuto agevolmente evincere l'esistenza del dialogo anche solo dalla lettura del decreto di perquisizione (il ministro dell' Interno non deve avere avuto il tempo di farlo, visto che ha preferito gigioneggiare chiedendosi se esista o meno l' intercettazione).
maurizio belpietro con matteo salvini (3)
Ma è anche vero che era un dettaglio non funzionale all'Operazione Confusione. Scrivono infatti il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi: «il fumus ( del reato, ndr.) è costituito, tra l'altro, dal contenuto di alcune conversazioni tra l' indagato Paolo Franco Arata ed il figlio Francesco (alla presenza anche di terzi) nelle quali si fa esplicitamente riferimento alla somma di denaro pattuita a favore di Armando Siri per la sua attività di sollecitazione dell' approvazione di norme che lo avrebbero favorito».
Per essere «una presunta conversazione », peggio, «un tarocco», quello di Repubblica, non è male. Ma, visto che ci siamo, si può aggiungere qualche altro dettaglio. Il contenuto della conversazione tra Arata e il figlio (che, come scrivono i pm, non è per altro l' unica) non consente, per dirla con le parole di una fonte inquirente, «nessuna altra spiegazione plausibile che non sia quella che le è stata attribuita è che è evidente dall' ascolto» . Così come «è certo che è a Siri che i due si riferissero in quella discussione» .
ARMANDO SIRI
«L'unico modo che Arata avrebbe per suggerire una spiegazione diversa - conclude la fonte sarebbe sostenere che mentre diceva quelle cose, scherzava. Peccato, però, che non si trattasse di una chiacchiera al bar, ma di un dialogo con il figlio sui molti e diversi affari della famiglia. Tra cui, appunto, quelli che riguardavano il ruolo di Siri».
I RISCONTRI
La si potrebbe chiudere qui la pagliacciata velenosa dell' intercettazione che «non c'è» . E tuttavia l'inchiesta su cui è cominciato il tiro al piccione, ha acquisito anche altro. Partendo da quel dialogo carpito dalla Dia - a seguito del quale per altro è stato indagato il sottosegretario alle infrastrutture - gli investigatori hanno ricostruito il contesto del rapporto tra gli Arata e Siri e le mosse di quest'ultimo nel cercare, per via legislativa, di introdurre norme che garantissero un sistema di incentivi per il cosiddetto minieolico con tariffe simili a quelle precedenti il 2017.
Cosa che avrebbe ingrassato il business degli Arata e del loro socio occulto in odore di mafia Vito Nicastri. Di più: nel fascicolo dei pm ora ci sono anche i verbali dei funzionari del Ministero dello Sviluppo Economico che hanno confermato le pressioni subite dal sottosegretario. Chi sa che la " macchina del rumore" ora non faccia sparire anche quelli.
ARMANDO SIRI
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