Fulvio Fiano per il “Corriere della Sera - ed. Roma”
pamela mastropietro
La famiglia di Pamela Mastropietro, la 18enne romana uccisa e fatta a pezzi il 30 gennaio 2018 a Macerata, solleva il caso della scarcerazione di Lucky Awelina, uno dei tre nigeriani inizialmente accusati del delitto: scagionato dall'omicidio ma detenuto per spaccio di eroina, è ora tornato libero e dovrebbe a breve essere rimpatriato.
La mamma di Pamela, Alessandra Verni, teme che questo possa precludere la possibilità di rintracciarlo nelle indagini future. Seppure infatti il caso è ufficialmente chiuso con l'ergastolo inflitto a Innocent Oseghale (il 14 gennaio può diventare definitivo in Cassazione), resta qualche ombra sul fatto che abbia agito da solo.
LA MORTE DI PAMELA MASTROPIETRO - LUCKY AWELIMA
Fu proprio Oseghale (incastrato dalle telecamere di sicurezza e colpevole di omicidio volontario aggravato perché commesso nell'ambito di uno stupro, e poi vilipendio, distruzione, occultamento di cadavere e violenza sessuale ai danni di una persona in condizioni di inferiorità psico-fisica) a chiamare in causa per primo Lucky Awelina e il quasi omonimo Desmond Lucky. I due lo avrebbero aiutato a fare scempio di Pamela e del suo cadavere, ritrovato il giorno dopo in una valigia.
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Fuggita dalla comunità di recupero per tossicodipendenti di Corridonia, la ragazza cresciuta nel quartiere San Giovanni a Roma, si era imbattuta in Oseghale, che dopo il delitto fece uso abbondante di varechina per cancellare le tracce biologiche. Le sue vennero però ugualmente rinvenute dagli specialisti, mentre dalle indagini non è però mai emerso nessun elemento che confermasse le sue accuse ai due presunti complici e la posizione dei due è stata archiviata. Awelina e Lucky sono stati poi condannati separatamente per spaccio (a 6 e 8 anni rispettivamente), con pena poi ridotta in appello.
Awelina, per il quale è caduta l'aggravante di aver venduto droga all'esterno di una scuola, ha scontato i 4 anni che gli erano stati inflitti in secondo grado e ora verrà trasferito in una struttura a Torino in attesa dell'allontanamento coatto dall'Italia, come prevede la legge. «La procura di Ancona aveva avviato indagini, a carico di ignoti, per sapere chi fosse in casa con Oseghale (che ammette la distruzione del cadavere, non l'omicidio, ndr ) mentre faceva a pezzi Pamela.
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E se dovesse emergere che erano proprio gli altri due coinvolti inizialmente, dove li andremmo a cercare una volta usciti dall'Italia? Si doveva indagare meglio allora», dice la signora Verni. «Perché i due connazionali non hanno mai denunciato Oseghale per diffamazione se le sue accuse erano false? - è invece la domanda dell'avvocato Marco Verni, zio di Pamela -. Secondo noi c'è ancora da indagare per sapere tutta la verità».
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