Teresa Ciabatti per "www.corriere.it/sette"
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Diciannove anni, nome d’arte scelto da un generatore di nomi per drag queen, è tra le poche donne rapper italiane, di certo la più famosa: Madame. Dopo la straordinaria partecipazione a Sanremo lodata da tutti, per il pezzo, Voce, in testa alle classifiche di ascolto, e per il discorso portato avanti sera dopo sera attraverso l’immagine (da madre a sposa: «Questa sera mi vesto da madre. Madre della mia voce». «Questa sera mi vesto da sposa. Sposa della mia voce») è in uscita col nuovo disco dal titolo Madame.
Papà impiegato di banca (attualmente in pensione), mamma segretaria in un autoconcessionario, fratello maggiore di otto anni, Francesca Calearo, in arte Madame, nasce a Creazzo, provincia di Vicenza. E poiché i genitori lavorano dalla mattina alla sera, lei cresce coi nonni. All’età di cinque anni muore il nonno materno a cui è molto legata. Ecco il primo grande dolore della vita libera, ribelle di Madame, il primo dolore della ragazza che canta «l’ultimo soffio di fiato e sarà la voce a essere l’unica cosa più viva di me», quella ragazza che sembra non aver paura di niente, «la solitudine è un virus che non prendo mai».
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Come riceve la notizia della morte del nonno?
«Ero in cucina, mangiavo un toast. Mia madre dice: “Nonno Giuseppe non c’è più”. Io rido non sapendo cosa significhi non esserci più».
Quando scopre il significato?
«A casa della nonna, la poltrona del nonno era vuota».
La morte è una poltrona vuota?
«A cinque anni sì».
I suoi genitori le dicevano la verità fin da piccola?
«Non mi hanno mai ingannata, tranne per Babbo Natale. Bisogna dire che sull’argomento ero scettica di mio, poi voci di corridoio all’asilo. Quindi metto sotto pressione mia madre che alla fine confessa».
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Reazione?
«L’accuso di avermi ingannato per tutto questo tempo».
Cos’era «tutto questo tempo»?
«Avevo quattro anni».
All’età di undici anni i suoi si separano.
«Papà mi dice che vuole lasciare mamma. Eravamo per strada, davanti al portone. Appena salgo chiedo: “Quanto ami papà da 1 a 10?”. E mamma: “Otto”. E io: “Lui si vuole separare”. Non ne sapeva niente, c’è rimasta malissimo, specie per quell’otto».
I giocattoli preferiti da bambina?
«Wolfie, il mio cane. Un libro di poesie rosa carne di cui non ricordo il titolo. E il libro dei perché, fondamentale».
Motivo?
«Con quel libro imparo a fare domande a me stessa e agli altri».
Esempio?
«A mio padre chiedevo: “Perché esiste Dio?”. Oppure: “Perché siamo vivi?”».
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E lui?
«Pensava fossi un genio».
A scuola?
«Il contrario, mi prendevano in giro. Per i denti, e per il fatto che non mi lavavo».
Non si lavava?
«A quattordici anni hai altro a cui pensare. Lavarsi è arrivato in seguito, prima ci sono state tante altre cose bellissime che mi hanno fatto crescere».
Il peggiore episodio di bullismo?
«Una volta sono svenuta, e loro, i miei compagni, mi hanno calpestata. Mi calpestavano per capire se fingessi».
Questo dolore l’ha resa forte?
«Debolissima».
Ma?
«Debolissima e libera».
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Nel senso?
«Anche di innamorarmi: maschio, femmina, giovane, vecchio ».
Primo amore?
«L’allenatore di pallavolo. Io 14 anni, lui 30. M’innamoro, comincio a lavarmi, una volta ogni due giorni invece che una al mese. Mi trucco per andare a pallavolo».
E?
«Gli scrivevo su WhatsApp, era l’unico che mi fosse rimasto, la mia persona di riferimento per capire il mondo».
Si dichiara?
«Molto tempo dopo, a quel punto lui era andato via dalla squadra».
Parole della dichiarazione?
«A diciotto anni potrò darti un bacio?».
Risposta?
«Dipende da chi amerò in quel momento».
Arrivati i diciott’anni?
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«Già stavo da un’altra parte».
Dove?
«Innamorata della professoressa di matematica».
Una donna.
«Mai avuto problemi maschio femmine, semplicemente le donne etero sono più difficili da raggiungere, e quello era il mio scopo».
Quanto conta il grado di impossibilità?
«Innamorarsi dell’impossibile è una droga. O almeno era, purtroppo adesso mi innamoro due giorni, una settimana, fine. Penso: ti ho già raggiunto. Il problema di adesso è che raggiungo tutto troppo facilmente».
Meglio l’amore non corrisposto?
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«L’amore corrisposto non esiste ».
Tranne?
«Tranne quello madre figlio, anzi no: nemmeno. Mia madre mi ama incondizionatamente, io però non posso riamarla nello stesso modo perché non l’ho cresciuta ».
Di chi è madre Madame?
«Della sua voce».
Tornando alla professoressa di matematica: le dice di amarla?
«Sarebbe stato uno spreco, lei era troppo fredda per capire. Se le dicevo ti amo, probabile che mi denunciasse».
Quindi?
«Prendo a scrivere testi miei, proprio per far vedere a lei che valevo qualcosa, che sarei arrivata in radio».
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Eppure la musica esisteva da tempo per Francesca/Madame.
«Ho iniziato in camera mia, con i karaoke di Justin Bieber. A tredici anni sapevo a memoria tutte le canzoni di Fedez e Emis Killa. Finiti i karaoke rap, scopro i type beat. Allora compongo strofe mie. Bimbo è la prima vera canzone».
Di che parlano i primi testi?
«Della mia generazione, una generazione finta però, che ne sapevo io, sempre sola. Ho cominciato a scrivere cose mie, sentite, quando ho conosciuto la professoressa. Anna è una canzone per lei».
Funzionava da ispirazione?
«In quel periodo c’era un pezzo di Izy, Manco a me, e c’era un verso che mi faceva pensare a lei: “Come un veliero bianco che salpa verso il sole” (ndr: nel testo “Come un veliero bianco che salpa verso sud”)».
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La professoressa era il sole?
«Sì».
Manifestazioni d’amore?
«Scrivevo di nascosto: lettere, canzoni, che le davo per il compleanno e per Natale. Una volta chiedo alla bidella di consegnarle in classe il cd Le onde di Einaudi, con tanto di lettera».
Conseguenza?
«Lei non capisce che sono io. Lo capisce parecchio dopo: tredici giorni dopo, e mi ringrazia. Era una donna di poche parole, e non molto dolci, insomma: la persona perfetta da amare».
Fine dell’innamoramento?
«Lei va in pensione, io vengo bocciata. Dovevo dimenticarla, per fortuna che avevo iniziato una vita nuova: amici, rapporti reali. Sesso regolare».
Amori?
«Persone che si affezionavano a me, a cui io non mi affezionavo, o viceversa. Situazioni destinate a finire».
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«Mando un bacio a quelli che mi davano i bacini ma senza volere me»?
«Esatto».
Il momento della reciprocità?
«Capisco cosa significa avere un rapporto umano conoscendo Matilde. Ho 17 anni, e lei è la prima vera amica della mia vita».
In quel periodo arriva anche il successo.
«Mi scopre Eiemgei che mi fa togliere il video di Anna per ripubblicarlo sul suo canale. 150 mila visualizzazioni in pochissimo tempo».
Essere una rapper donna?
«Sono sicura che ci siano tantissime Madame non ancora esplose in Italia, tante Madame a cui manca il coraggio. C’è il pregiudizio che se sei femmina devi per forza fare pop romantico».
«Sarà che io sono tutto. Certe mattine mi sveglio più maschio, altre più femmina. Riesco a pensare come un maschio, per esempio Clito, l’ho scritta da maschio».
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Chi è Madame?
«Per farle capire: non ho mai avuto una calligrafia mia, copiavo quella del compagno di banco, e siccome i compagni di banco cambiavano di continuo, i miei quaderni sembrano scritti da trenta persone diverse».
Lo stile di Madame?
«Mio, personale, come l’immagine del resto. Non mostro il corpo, forse perché ancora non ne sono fiera. E anche perché penso: chi si merita di vedermi nuda oggi?».
Chi lo merita?
«Di umani nessuno. Di animali Barney, il mio cane: io mangio, lui mangia, io vado in bagno, lui viene in bagno».
Cos’è la fama?
«Mia madre mi ha insegnato che della fama bisogna gioire per poco, sennò significa tirarsela e diventare cattivi».
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Teme di diventare cattiva?
«Un po’».
In che modo è stato accolto il suo successo in famiglia?
«Non ce lo siamo goduti, a noi non piace godere di queste cose che piacciono a tante persone, ci piace godere di altro, tipo la natura, gli animali, quello che fanno».
La maggiore soddisfazione al termine di un lavoro?
«Non l’uscita del pezzo, quando magari fa tante visualizzazioni, ma quando lo faccio ascoltare ai miei, in macchina. Mio padre e mia madre davanti, io dietro».
Fastidi del successo?
«Il fatto che gente che non mi conosce mi critica. Perché devi parlare di me? Che ti ho fatto di male?».
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Oggi la veste Maria Grazia Chiuri (Dior). Come si vestiva prima di diventare famosa?
«Jeans, felpe, molti fake, copie di marchi famosi. C’era un mio amico graffitaro che faceva anche magliette, gli ho chiesto di farmene una con la scritta enorme Gucci».
Parliamo del nuovo disco.
«La cosa di svegliarsi ogni mattina e essere una persona diversa. Ecco, ogni canzone del disco è scritta da una persona diversa. Tranne tre pezzi scritti nella stessa settimana in cui mi sono svegliata sempre quella persona lì».
Ovvero?
«Femmina luccicante».
Tema ricorrente del disco?
«Il dolore».
Il dolore per Madame?
«Che sia l’amore non corrisposto o altro, di base quello che mi manca oggi. Adesso è troppo semplice, e io mi sento morta. Prima vivevo a pieno proprio per il fatto che fosse tutto irraggiungibile. La mia vera paura è non provare niente di intenso, gioia dolore, di rimanere così, anestetizzata».
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Altre paure?
«La velocità».
Cioè?
«A quattordici anni mio padre mi porta a Gardaland. Andiamo sulle montagne russe e io sto malissimo, crisi di ansia, di panico, non so. Penso: ora mi sgancio da questo coso, volo via, mi schianto, muoio. Ma poteva finire così, a Gardaland?».
Non finisce.
«Ricordo che scesi da lì, abbiamo passato il resto della giornata sul fiume, nelle canoe. Tipo bambini di cinque anni».
Ci sono volte che ha ancora cinque anni?
«Quando entro in una stanza buia. Inizio a correre, cerco l’interruttore, non so stare al buio».
Come dorme?
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«Ora che c’è Barney, benissimo. Lui sta sotto il letto, e io mi sento al sicuro».
Senza luce?
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«Senza».