Alberto Mattioli per "la Stampa"
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Ma da dove incominciare? Dal Tuca Tuca o da Ma che mu, ma che mu, ma che musica maestro, da Maga Maghella o dai fagioli di Pronto Raffaella, da Com' è bello far l' amore da Trieste in giù fra l' Italia in miniatura di Rimini o da Begnini che l' abbranca a Fantastico declamando tutto il dizionario dei sinonimi e dei contrari della corporeità riproduttiva? Dai bianco-e-nero superchic di Antonello Falqui o dalle carrambate, da Topo Gigio o da Henry Kissinger (sì, intervistati entrambi), dal caschetto biondo o dalla Grande Bellezza, dalle censure democristiane o dall' icona gay, dal consenso delle casalinghe o da quello degli intellettuali, entrambi comunque plebiscitari?
Ci sono vite che racchiudono tutte le vite, canzoni che sono la colonna sonora di infinite esistenze, immagini che diventano i ricordi di tutti.
Difficile capire perché, ma succede. È una storia magari minima, ma è pur sempre storia. E così capita che sessant' anni abbondanti di identità italiana, di quello che siamo stati e che siamo, si ritrovino in vita e opere di Raffaella Maria Roberta Pelloni in arte Carrà, venuta al mondo il 18 giugno 1943 a Bologna, la leggenda narra durante un terribile bombardamento, e uscitane ieri a Roma.
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Famiglia non povera come da favola che si rispetti, ma disfunzionale, sì. Il matrimonio fra mamma e papà va male da subito, la coppia scoppia presto e lei cresce a Bellaria. La Romagna le dà l' imprinting che l' accompagnerà sempre: sorrisi e simpatia, ottimismo e voglia di vivere, ma anche volontà di ferro e passione per il lavoro, quello fatto bene. E una fede politica di sinistra.
Nella bella stagione del boom, nella nostra età dell' innocenza, quando tutto in Italia sembra possibile, perfino facile, la ragazzina già tostissima decide che vuole ballare. A otto anni è a Roma ad alzarsi sulle punte, poi le dicono che ha le caviglie troppo piccole per il balletto e lei, da brava piccola rezdora che non si dà per vinta, dirotta sul cinema.
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Diploma al Centro sperimentale di cinematografia (ma aveva già debuttato nel '52, a otto anni, in un melodramma tremendo fin dal titolo, Tormento del passato), particine fra cinema, teatro e rivista, la grande occasione nientemeno che a Hollywood e nientemeno che con Frank Sinatra. Titolo del film: Il colonnello von Ryan.
Ma la signorina Pelloni non ancora Carrà capisce che la sua strada è un' altra. La televisione è ancora un approdo di talenti, non il rifugio di chi non ne ha. Lei sa ballare, cantare, recitare, è istintivamente simpatica e sexy per quanto è possibile in un' Italia ancora democristiana ma già squassata dalle folate liberalizzatrici del Sessantotto.
Raffaella Carra - Foto Farabola
Non a caso, il primo successo arriva nel '69 con Io, Agata e tu. La consacrazione, l' anno seguente, con la Canzonissima griffata Falqui in coppia con Corrado dove lei, per la prima volta nella storia della Telepatria, mostra l' ombelico. I padri sognano, le figlie imitano, i gay giubilano, i moralisti protestano, tutti la guardano.
Gli Anni Settanta sono una marcia trionfale. Nel '71, il Tuca tuca è una piccola rivoluzione sessuale, uno choc di costume, altro che il Benigni che sarà. Coreografia di Don Lurio, testo allusivo di Boncompagni («Mi piaci, ah, ah!»), le mani di Enzo Paolo Turchi che si muovono roventi come piadine sul corpo della soubrette più amata. Per i mitici «dirigenti» diccì è troppo e scatta la censura, ma poi arriva per un' ospitata Alberto Sordi al quale non si può dire di no, e infatti rituca sornione la Carrà. Ed è subito icona nazionale, a furor di popolo.
Raffaella Carra e Mina - Foto Farabola
Nel '74 c' è Milleluci, secondo molti il più bel varietà della tivù italiana, pimentato dalla rivalità vera o presunta con Mina. Presunta, secondo Raffa: «Ma no, dopo lo spettacolo giocavamo insieme a scopone scientifico».
Lei riesce nella missione impossibile di rinnovarsi di continuo restando sempre sé stessa, il caschetto biondo inventatole dal parrucchiere Vergottini e tagliato in modo da tornare al suo posto dopo ogni scuotimento della testa sui due accordi dell' orchestra, i costumi di Luca Sabatelli e Corrado Colabucci che sono il trionfo del lustrino, tutto un kitsch consapevole e perfino ironico, già pronto per i Gay Pride prossimi venturi. E lei, intelligente come al solito: «Macché stilisti, io devo vestire da Carrà». Bilancio: tre Canzonissime, due Fantastico, un Sanremo, una Domenica in, cinque Carramba (nella doppia versione Carramba, che sorpresa e Carramba, che fortuna), dodici Telegatti. Ah, e anche 51 album pubblicati, 22 dischi di platino o d' oro, 60 milioni di copie venduti, molti in Spagna e in America latina dov' è una superstar. E infatti lancia pure Fiesta!
Raffaella Carra - Foto Farabola
Nell' 87, Nostra Signora della Rai cede alle lusinghe e ai milioni di Berlusconi e trasloca alla Fininvest, un altro segno dei tempi, ma l' esperienza non è felice. Il ritorno in Rai è una mutazione genetica: addio al sabato sera e alla soubrette volteggiante e sberluccicante, adesso Raffaella risponde al telefono a mezzogiorno accompagnando la cottura della pasta con quiz surreali sul numero dei fagioli contenuti in un vaso o massime di buon senso spicciolo per un pubblico bon enfant (quante solitudini alleviate o piccoli conforti quotidiani, però).
Arriva la tivù delle lacrime e delle agnizioni prêt-à-pleurer e lei naturalmente c' è con le sue carrambate, il mélo più spudorato che però, fatto da lei, risulta stranamente sincero, una tivù tutto sommato onesta che non cerca di spacciare i suoi casi umani per spaccati sociologici o inchieste giornalistiche. Ormai è oltre la cronaca, «icona culturale», si sbilancia il Guardian, mentre il dj alla moda Bob Sinclair remixa A far l' amore comincia tu che diventa un successo planetario, finisce nella Grande bellezza di Paolo Sorrentino e vince un' Oscar (il film, certo, ma con la canzone dentro).
Raffaella Carra - Foto Farabola
Ma i suoi ritornelli sono già la colonna sonora di tutti i Gay Pride del mondo, senza che lei riesca a spiegarselo ma rendendola comunque felice. Figuriamoci i diretti interessati, che adorano senza se e senza ma. Saggia, superRaffaella capisce anche quando è il momento di sparire, salvo poi tornare puntualmente alla ribalta: «Ho più paura che la gente dica: ancora lei! piuttosto che: dov' è andata a finire?». E all' incauto soprascritto che, quando venne all' Auditorium Rai di Torino per Gran concerto condotto dal suo protegé Alessandro Greco, aveva retrodatato il suo debutto rispose ironica: «No, le sembrerà strano ma a quell' epoca io non c' ero ancora».
Anche la vita privata racconta com' è cambiata l' Italia.
Raffaella Carra - Foto Farabola
Niente marito e niente figli (ma molto impegno in prima persona e come testimonial per le adozioni a distanza), qualche relazione stabile di cui due importantissime, di vita e di lavoro insieme: Gianni Boncompagni e Sergio Japino. Finite entrambe, continuarono poi a vivere tutti e tre nello stesso condominio.
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E le molestie? Raccontava di averne subito e di aver reagito con «la cura Carrà: lo smataflone» che, traduco per i non emiliani, è il ceffone e di quelli belli sonori. E poi l' amore per i nipoti, figli di un fratello morto giovane, la superstizione (alla Vigilia di Natale, sempre pasta con il tonno perché porta bene, gliel' aveva detto Mastroianni) e tutto sommato una grande riservatezza: ha dato centinaia di interviste, ma senza mai svelarsi completamente. È un' altra vita che se ne va portandosi via un pezzo della nostra. Come diceva Flaiano: coraggio, il meglio è passato.
Raffaella Carra - Foto Farabola Raffaella Carra - Foto Farabola carra boncompagni 9 boncompagni carra japino ARBORE CARRA BONCOMPAGNI ARETHA FRANKLIN raffaella carra 6 raffaella carra 7 topo gigio e raffaella carra raffaella carra 8 Raffaella Carra - Foto Farabola Raffaella Carra e Corrado - Foto Farabola Raffaella Carra e Raimondo Vianello - Foto Farabola Raffaella Carra - Foto Farabola