DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Alessandro Pasini per il “Corriere della Sera”
Tutto è cominciato nel settembre 2016 con una scelta contronatura: la fiducia a un tecnico partito con 4 sconfitte nelle prime 5 gare di campionato. Con l' Inter, 5 anni prima, a un abbrivio simile era corrisposto il licenziamento. Antonio Percassi, presidente dell' Atalanta, ha invece deciso di tenersi Gian Piero Gasperini. A occhio, ha fatto bene, visto che poi quell' anno è arrivata la qualificazione in Europa League e oggi raccontiamo la gestione Gasp come la Golden Age mai vista della Dea: uno straordinario mix di risultati, evoluzioni tecnico-tattiche, scoperte di giocatori, visione extracampo e puntuale monetizzazione attraverso un' arte della plusvalenza più unica che rara.
L' Atalanta oggi è la squadra più hot d' Italia: quinta e con un passo mostruoso. Dopo un altro avvio lento - fuori ai playoff di Europa League e 6 punti nelle prime 8 giornate - ne ha fatti 29 nelle successive 14 con una media di 2.07 che significherebbe 68 finali, 8 più dell' anno scorso, vicinissimi ai 72 con cui l' Inter entrò in Champions. Tecnicamente, la svolta è dipesa dal cambio di ruolo di Gomez, ora trequartista, ora regista; dal recupero di Ilicic, talento pazzesco spesso nascosto; dall' esplosione di Zapata coi suoi 14 gol nelle ultime 9 partite. Sommate tutto al metodo Gasp fatto di intensità da Premier League e coscienza tattica italiana, senso olandese del collettivo (i difensori goleador), sfruttamento nordico della fase aerea (12 gol di testa) e senso universale dello show (miglior attacco in serie A), e il risultato pare logico.
Ma poi c' è altro: visione, si diceva. Cioè - sullo sfondo di una base di tifo fortissima e sotto la spinta di Percassi, ex giocatore oggi imprenditore abile a percepire il vento commerciale prima degli altri (da Oriocenter a Starbucks) - programmazione; uno stadio in via di rifacimento (per 40 milioni); una nuova struttura del settore giovanile quasi pronta a Zingonia; la voglia di resistere, a gennaio, all' assalto per Zapata e Mancini, il cui valore è già schizzato come fu per Kessie, Gagliardini, Cristante, Conti, Caldara e Bastoni: gente dalla cui vendita nell' era Gasp sono arrivati 126 milioni di plusvalenze. E a Bergamo, dove l' ultimo bilancio riportava un utile di 27 milioni, si calcola che dal Duemila a oggi il 35% del fatturato complessivo (993 milioni) è derivato dalle plusvalenze.
Il metodo non è una novità.
Il punto è piuttosto un altro: come si fa ad autofinanziarsi così pesantemente senza che il progetto tecnico ne risenta?
Con la bravura dell' allenatore, ovviamente, ma anche con il lavoro capillare di scouting per il mondo. All' Atalanta i giovani sono come l' aria per respirare. Attenzione, però. Loro non necessariamente giocano (e infatti Gasp si era lamentato in agosto per un mercato troppo impostato su giovani dalle prospettive non chiare): l' età media della squadra che ha travolto la Juve in Coppa Italia era di 27,2 anni e la media della rosa (26,3) fa dei nerazzurri solo l' 8ª squadra più giovane della serie A. Non solo: quest' anno i protagonisti non sono italiani. Con la Juve l' 11 di partenza era tutto straniero, idem nella vittoria col Cagliari lunedì. Un dato che quando l' Inter vinceva il Triplete era ritenuto una vergogna e che oggi è motivo di orgoglio, anche perché molti di questi stranieri vengono da mercati meno sudamericani e più alternativi (Belgio, Olanda, Svizzera, Albania) che bisogna sapere esplorare.
Con questo gruppo e questa filosofia del «guadagna coi giovani e vinci con gli stranieri (e i maturi)», insomma, se l' Atalanta arriverà in Champions per la prima volta nella sua storia non ci sarà da stupirsi. Se poi la giocherà con gli stessi eroi oppure monetizzerà salutando Zapata & co., nuovi eroi «plusvalorosi», è irrilevante: dove c' è un sistema forte, chi lo interpreta è secondario. E la parabola della Dea moderna lo dimostra.
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