Matteo Persivale per corriere.it
Da 40 anni Bruce Springsteen canta le vittime della deindustrializzazione che attanaglia gli Usa e che adesso spinge in alto Trump nei sondaggi. «Per questo la biografia del boss dovrebbe essere letta dai politici che vogliono capire».
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«Ricordo le umiliazioni subite da mio padre quando non riusciva a trovare lavoro, costretto a dipendere da mia madre. Ricordo la sua rabbia, la sua autostima in frantumi. È il mio imprinting. Per questo capisco la destra dei Tea Party: l'economia che passa dal manifatturiero ai servizi si lascia indietro tanta gente che sa solo lavorare con le mani. Non possiamo ignorarli, sono nostri fratelli».
Bruce Springsteen diceva queste parole al Corriere della Sera quattro anni fa, in una lunga intervista nella quale elogiava Obama ma ricordava come i democratici non dovevano - non potevano - dimenticare l' America che vede da decenni posti di lavoro del settore manifatturiero volare via, per sempre, verso l'Asia.
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Lui lo dice - lo canta - da quarant' anni, lungimiranza che ha appena fatto scrivere al Financial Times un editoriale dedicato al musicista «la cui musa è la deindustrializzazione con le sue vittime», quelle che alla fine spingono in alto nei sondaggi Donald Trump e hanno decretato l' uscita della Gran Bretagna dalla Ue.
Ma perché a Sunderland - dove la Brexit ha riscosso una maggioranza record - non c' è mai stato uno Springsteen? Perché quello di Springsteen è un fenomeno profondamente americano, capace di trascendere le etichette di partito: l' autobiografia di Springsteen in uscita a settembre, Born to Run (in Italia da Mondadori), scrive sul giornale della City Janan Ganesh, «dovrebbe essere letto, se fossero intelligenti, dai politici che cercano di capire davvero sapore e atmosfera della disaffezione della working class, non soltanto le nude statistiche sul numero dei disoccupati».
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La Gran Bretagna, argomenta il FT, «ha perso più posti di lavoro nell' industria di qualsiasi altro Paese occidentale dopo essere stata la nazione che più ne aveva creati, ma poche cronache culturali di questo tragico processo si sono rivelate all' altezza. Non hanno fatto altro che trasformare i lavoratori in santini, arruolandoli a un credo di sinistra che hanno sempre respinto come utopico e non patriottico».
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Cioè la musica di Billy Bragg, e i film di Ken Loach non riescono a parlare all' anima profonda della Gran Bretagna - la Sunderland che ha votato a valanga pro-Brexit, per esempio - come la musica di Springsteen, popolarissimo nel Regno Unito. Proprio a Sunderland il Boss fece, quattro anni fa, sotto un diluvio, un concerto memorabile del quale restano tracce sia su YouTube sia in registrazioni amatoriali su mp3 scambiate on line dai suoi fan (l' Independent scrisse in quella occasione che «il suo ultimo album Wrecking Ball , come fecero Born to Run e The Rising , cattura lo spirito dell' America di oggi, se non di tutto l' Occidente»).
BRUCE SPRINGSTEEN AL BOLOGNESE
Springsteen ha sempre rifiutato un ruolo politico, dicendo di non capire di ideologia ma di essere semplicemente un musicista, e questo lo ha reso ancora più forte: Born in the Usa , frainteso da Ronald Reagan come un inno patriottico era in realtà l' atto d' accusa che raccontava la storia d' un reduce del Vietnam «preso a calci fin dalla nascita» che, tornato a casa, trova lavoro in una raffineria, la copertina del disco con il fondoschiena del Boss avvolto nei jeans e un' enorme bandiera a stelle e strisce sullo sfondo (foto di Annie Leibovitz).
Solo Springsteen poteva cantare - senza far infuriare l' America della working class che rispetta le forze dell' ordine - la morte di un immigrato africano disarmato crivellato dai poliziotti, quindici anni prima della nascita di Black Lives Matter . Bruce il profeta che in 41 Shots cantava «Quarantun colpi squarciano la notte... quarantun colpi per attraversare le acque del fiume insanguinato e arrivare sull' altra riva… puoi essere ucciso solo perché stai nella tua pelle americana».
al Circo Massimo per Springsteen
Solo Springsteen poteva raccontare il trauma dell' 11 settembre in The Rising scritto perché una mattina, poco dopo la strage, un automobilista fermo al semaforo accanto a lui nella sua Asbury Park abbassò il finestrino e gli disse solo «Abbiamo bisogno di te», e lui cominciò a scrivere «con umiltà e rispetto senza fine» lettere alle famiglie delle vittime delle quali, aveva letto sul New York Times , era il cantante preferito.
Per capire perché Sunderland non ha mai partorito uno Springsteen inglese si può ragionare sul sistema di classi sociali che rigidamente regge tuttora la Gran Bretagna (governata nella maggior parte dei casi da persone che sono andate all' università insieme, tra Oxford e Cambridge); si può rileggere un autore fondamentale per capire l' America, Mark Twain, e trarre la stessa conclusione sulla sua satira e la sua lingua così lontane da quelle dei vittoriani inglesi.
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Però basta riflettere sul fatto che Springsteen, in un' era sempre meno autentica e sempre più mediatizzata, ha sempre raccontato, con semplicità assoluta, la sua vita. Come fece in The Wish , che si apre con l' immagine di Bruce bambino davanti a un negozio di strumenti musicali («Una strada vecchia e sporca, con la neve che si scioglie nella pioggia / Un bambino e la sua mamma fuori da un negozio di strumenti musicali male in arnese / In cima all' albero di Natale una bella stella / E sotto, una chitarra giapponese nuova di zecca»), il ricordo tenerissimo della sua prima chitarra comprata a rate da mamma Adele di nascosto da papà Dutch che non lo voleva musicista, le prime note strimpellate nella sua cameretta, il primo concerto in New Jersey a 22 anni, con il suo nuovo migliore amico col sassofono, Clarence Clemons gigante gentile col quale creò la E Street Band. Springsteen è il ragazzo smilzo del New Jersey e non di Sunderland, in ultima analisi, perché «i poeti quaggiù non scrivono nulla, lasciano solo che le cose succedano» .
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