1 - LA SHARING ECONOMY SGONFIATA DAL VIRUS NOLEGGI ADDIO E LA CASA NON SI PRESTA PIÙ
Emanuela Griglié per “la Stampa”
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Sono passati dieci anni da quando Rachel Botsman pubblicò "What' s mine is yours", la bibbia dell' economia condivisa. Airbnb e Uber non erano ancora fenomeni miliardari, ma Botsman, classe 1978, ci aveva visto giusto anticipando un nuovo modo di consumare, che avrebbe calato il sipario sull' epoca del possesso.
Fino a oggi la storia le dava ragione, ma poi è arrivato il contagiosissimo Covid-19 che sopravvive nell' aria e sulle superfici per chissà quanto. E abitudini consolidate fanno inversione a «U». Chi ancora si fiderà a noleggiare vestiti o utilizzerà servizi come BlaBlaCar, in cui si prende un passaggio da uno sconosciuto? «Abbiamo azzerato le corse dal lock down», dice Andrea Saviane, country manager di BlaBlaCar, che conta da noi una community di 3 milioni di utenti e in tempi normali, nei giorni di punta, una macchina in partenza al minuto.
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«Abbiamo limitato il servizio a solo un passeggero e per casi di emergenza. Non ci sono quadri normativi che ci permettono previsioni. E soprattutto c' è il tema fiducia, quanta voglia avranno le persone di condividere un viaggio? Ecco perché abbiamo deciso di sentire la nostra community con un sondaggio per capirlo». Anche se non si mette bene, il coronavirus non seppellirà la sharing economy.
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«Noi siamo fiduciosi», spiega Vittorio Muratore co-founder di MiMoto, scooter elettrici a Milano, Torino, Genova. «Abbiamo sospeso le attività ma ripartiremo appena possibile cambiando anima. Punteremo di più sul delivery, fornendo la nostra flotta alle piccole medie aziende per le consegne.
Abbiamo già organizzato procedure per la sanificazione completa dei mezzi, ogni scooter sarà dotato di pellicole auto-disinfettanti e nel bauletto un kit con cuffietta e igienizzanti per mani. Ci sarà probabilmente qualche resistenza nell' usare un casco che si mettono in tanti, e allora aiuteremo gli utenti a comprarne a pochi euro uno personale. Lo scooter, dove la distanza sociale è garantita, diventa una valida alternativa ai mezzi pubblici, che saranno contingentati».
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«C' è molto fermento, anche a livello politico, sull' industria della mobilità condivisa», conferma Alessandro Felici, ad di IDRI BK, che ha acquisito Mobike in Italia e Spagna, la più grande piattaforma di bike sharing al mondo, presente da noi in 14 città. «Ora siamo quasi fermi, viaggiano solo gli operatori sanitari e gratis. Ma abbiamo molte richieste dalle municipalità perché siamo visti come la soluzione al sovraffollamento dei mezzi pubblici. Così stiamo pianificando il dopo, aumenteremo la flotta, bici e monopattini elettrici tutti sanificati. La domanda crescerà a livello internazionale, i numeri della Cina già lo dimostrano.
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I nostri utilizzatori sono sempre stati moto fedeli, ora però ci stiamo approcciando a una nuova fascia di clienti che prima del coronavirus non prendeva in considerazione lo sharing. Ma i nostri sono mezzi aperti, percepiti come più sicuri rispetto all' abitacolo chiuso delle auto».
Meno ottimismo nell' aria per i player degli affitti brevi visto che, secondo Wired UK, anche un big come Airbnb (7 milioni di annunci in tutto il mondo) rischia di essere travolto: i dati di AirDNA, società di analisi degli affitti online, parlano di un calo delle prenotazioni dell' 85% e di cancellazioni vicine al 90%, con entrate su base annua diminuite, solo nel mese di marzo, del 25%. Stessa sorte per booking.com.
In Italia Airbnb sta cercando modi per stare a galla finché la circolazione delle persone non riprenderà, proponendo agli host di affittare a medici e infermieri o a chi deve stare in quarantena lontano dalla famiglia. Ma anche la Fase 2 non si preannuncia in discesa: bisognerà trovare un modo per garantire che gli appartamenti, o peggio le stanze in condivisione, siano stati igienizzati in sicurezza.
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Il Ceo di Airbnb, l' ex bodybuilder 38enne Brian Chesky, ostenta fiducia, però questa debolezza potrebbe essere l' occasione buona per le amministrazioni cittadine di imporre norme più severe alle odiate piattaforme, accusate di aver decimato l' offerta di alloggi disponibili per i residenti locali. Complicata la sfida anche per negozi fisici e online di abiti di seconda mano. Questo proprio quando anche l' industria della moda aveva sdoganato la necessità del vintage, con tanto di benedizione del direttore di Vogue America di Anna Wintour.
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2 - C’ERA UNA VOLTA LA SHARING ECONOMY
Massimiliano Panarari per “la Stampa”
Il Covid-19 costituisce un punto di cesura tra un prima e un dopo. Nel nuovo disordine mondiale che si intravede ci sono alcune vittime predestinate. Una di queste è la sharing economy, poiché in una società dove è entrato in vigore il regime del distanziamento sociale la condivisione di beni e servizi si fa estremamente problematica. In primo luogo, per ragioni di regolamentazione normativa e di precetti sanitari.
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E perché, un effetto collaterale già denunciato dagli psicologi, laddove aleggia un' idea di contagio si diffondono come dei virus anche il sospetto e la sfiducia verso gli altri. Dunque, di sicuro non ci sarà più lo stesso numero di persone disponibili a condividere un' auto o ad alloggiare in un appartamento altrui non sanificato, come pure si ridurranno gli utenti dei locali e dei servizi pubblici e quelli degli spazi culturali. Ed è sotto scacco, terribilmente ferita dal Covid, quella Milano che era divenuta la sharing city nazionale e una capitale dell' imprenditorialità sociale.
MASSIMILIANO PANARARI
L' economia della condivisione è anche figlia della Grande crisi precedente, quella finanziaria del 2008-2011, e consiste in un paradigma economico e sociale che prevede l' uso senza la proprietà diretta di beni e servizi con la finalità principale di ridurre le spese e di ammortizzare i costi.
EMILE DURKHEIM
Una visione che ha radici culturali di lunga durata, che i sociologi ascrivono alle dottrine sulla divisione sociale del lavoro e sulla solidarietà organica di Émile Durkheim. L' elemento fondamentale che la connota, nella sua definizione più precisa, è quello dello scambio di servizi e beni tra pari («persona a persona»), spesso per il tramite di piattaforme: dal food sharing alla blockchain, dal coworking al crowfunding. Generando così anche capitale sociale e legami di prossimità per i territori in cui si svolgono queste pratiche collaborative di produzione e consumo. Ma nell' accezione comune in questo mare magnum è entrato anche un altro - gigantesco - arcipelago: quello del capitalismo di piattaforma (da Uber a Airbnb), dove esiste un soggetto forte, titolare della tecnologia (le app) che fa da gatekeeper per accedere al servizio.
THE ECONOMIST - SHARING ECONOMY
La sharing economy è, quindi, un universo composito, con vari chiaroscuri. E con il dilagare di lati oscuri, dalla gig economy (l' economia dei lavoretti on demand) all' appropriazione privata dei contenuti che gli individui immettono inconsapevolmente e gratuitamente sui social network (il digital labor). Dal 2013, quando l' Economist le aveva consacrato la copertina, di strada ne è stata fatta tanta, e molto velocemente, sull' onda dell' accelerazione esponenziale dell' ultima ondata di globalizzazione.
Adesso il maledetto virus si presenta come una gravissima battuta d' arresto: ne risentirà una componente del capitalismo delle piattaforme, ma ne risulterà assai ridimensionata anche la propensione, che si stava diffondendo nelle generazioni più giovani, a progettare forme di economia cooperativa e a rinunciare alla proprietà di certi beni - e, in questo caso, la situazione risulterà decisamente problematica a causa della loro precarietà economica.
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E, pertanto, si interromperà - quanto meno per un periodo - lo sviluppo di tutta una serie di pratiche che stavano riconfigurando i comportamenti di certe fasce di consumatori. La sharing economy si basa su forme (effettive, o più fittizie) di disintermediazione, e ha significato un rinnovato protagonismo di taluni settori della società civile, per l' appunto specialmente giovanili.
MARIO DRAGHI
Mentre il Covid allarga, da un lato, la sfera dell' individualismo (anche proprietario) e, dall' altro, dell' interventismo pubblico (e dello statalismo). Certo, non era tutto oro quello che luccicava dalle parti dell' economia collaborativa (specie quando presunta), ma la pandemia costringe a fare un pesante passo indietro anche in questo campo. Nelle sue ambivalenze e ambiguità (come le modalità non dichiarate di reintermediazione), la sharing economy rappresenta un capitolo postmoderno dell' evoluzione delle nostre società aperte liberaldemocratiche. E se si vuole salvare l' una dentro le altre occorre dare al più presto una prospettiva a quel «cambio di mentalità» che ha invocato Mario Draghi per affrontare la crisi virale e socioeconomica in cui siamo stati sprofondati.