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    “QUI IL VIRUS HA RIDOTTO ALLA FAME MIGLIAIA DI PERSONE” – VIAGGIO NEGLI ALLOGGI POPOLARI DEL GIAMBELLINO, UNO DEI QUARTIERI PIÙ POVERI DI MILANO. I BAMBINI NON HANNO IL WI-FI E I DATI DEL TELEFONO NON BASTANO NEMMENO PER FARE LE LEZIONI VIRTUALI – LA VITA IN QUARANTA METRI QUADRI, SENZA IL BALCONE: “QUESTO È UN INFERNO” - SE S'INCAZZANO ARRIVANO I DOLORI...


     
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    Chiara Baldi per “la Stampa”

     

    FAMIGLIA AL GIAMBELLINO FAMIGLIA AL GIAMBELLINO

    Maria e Mohamed litigano in continuazione: mentre una fa i compiti, l' altro vorrebbe giocare ma l' appartamento ha solo due stanze e in quattro lo spazio scarseggia. «Servirebbe una casa più grande ma siamo già fortunati ad avere questa». Fatima - nome di fantasia, come quello dei suoi figli - è una giovane donna sola di 35 anni. È originaria del Marocco ma dal 2012 vive a Milano, in un alloggio popolare al Giambellino, uno dei quartieri più poveri della città. Qui una famiglia su quattro delle quasi 17 mila presenti abita in una casa popolare e ha un reddito annuo inferiore ai 9 mila euro lordi.

     

    «Già tre settimane fa il virus ha ridotto alla fame migliaia di persone. Oggi consegniamo pasti a 600 famiglie ma non basta», racconta don Gino Rigoldi, punto di riferimento di via Lorenteggio. Chi si lamenta di stare chiuso in un appartamento con doppi servizi e magari un terrazzino, non ha idea di cosa sia una quarantena per quelli come Fatima, 40 metri quadrati da condividere con i figli: Maria, di 15 anni, Mohamed di 10 e Nadja, di 4. Mohamed soffre di una disabilità psichica che in questa situazione lo porta ad avere più crisi del solito.

    don gino rigoldi don gino rigoldi

     

    «Non ha abbastanza giochi e si stufa a usare sempre gli stessi. In più, non abbiamo wi-fi e così anche i dati del telefono finiscono velocemente». Anche perché lo smartphone serve alla sorella maggiore per studiare: «Maria deve seguire 5-6 ore di lezione al giorno, ma non avendo un pc può usare solo il cellulare. Arriva a sera con gli occhi che le fanno male». Il "Laboratorio del Giambellino", insieme a "QuBì" della Fondazione Cariplo, ha calcolato che in tutto il quartiere servirebbero un migliaio tra tablet e computer per far studiare i ragazzi under 14. Alcuni aiuti arriveranno grazie al fondo di comunità lanciato proprio dal "Laboratorio".

     

    GIAMBELLINO GIAMBELLINO

    A undici chilometri da qui, ci sono le "Case Bianche" di via Salomone. Nel 2017 questi palazzoni grigi che somigliano a alveari hanno accolto Papa Francesco, strappando all' ente delle case popolari la promessa di fare dei lavori per renderli più decenti per le oltre 400 famiglie: dei 447 appartamenti, molti sono vuoti da anni. «Qualche giorno fa abbiamo ricevuto una lettera del Pontefice che si diceva contento che i lavori fossero partiti. Peccato che si siano dovuti subito interrompere per la pandemia», commenta don Augusto, della parrocchia di San Galdino.

     

     In via Salomone i palazzi svettano, hanno 8-10 piani. Ma non c' è neanche un balcone. «Questo ci pesa molto, per i bambini sarebbe importante. Ci accontentiamo di portarli a fare due passi dopo mezzanotte, quando in cortile non c' è nessuno», racconta Amalia Criscuolo, 31 anni.

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    Lei e il marito Raffaele, con i due figli - Salvatore di 5 anni e Sabiana di 9 - e il cane Walker hanno vissuto i primi giorni di quarantena come sempre: sveglia alle 7, colazione, poi lezione. «Solo che la giornata non passava mai, i bambini non si stancavano mai, la luce del sole li teneva attivi. Era diventato impossibile. Così abbiamo deciso di cambiare gli orari: ora vanno a letto alle 3-4 di notte, si svegliano alle 13, fanno colazione, all' ora della merenda pranzano». Il salotto è stato riadattato: sul tavolo c' è una distesa di fotocopie: italiano, inglese, matematica. Centinaia di fogli stampati e compilati. «Sono di Sabiana: ogni giorno trascorre dalle 5 alle 6 ore a fare i compiti che riceviamo via chat. Poi vanno stampati, eseguiti, scannerizzati e caricati sul sito della scuola», chiarisce Amalia. «Ma certi momenti», confessa, «sono durissimi.

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    I bimbi hanno capito che non possono uscire. A volte ci chiedono di fare una passeggiata e come fai a dire di no, quando da 40 giorni sono confinati in tre stanze? ». Nel palazzo accanto vive Franca, 45 anni, mamma di quattro ragazzi - ma due vivono fuori casa - e in sedia a rotelle. Disoccupata, è rimasta sola dopo che il marito è stato ricoverato per una depressione. «Ha perso il lavoro», dice. I due figli - Francesco, 15 anni e Sara, 11 - trascorrono il tempo davanti alla tv o al cellulare. «La scuola? Purtroppo la connessione non è molto stabile e riescono a seguire poco le lezioni. Li salva solo vedere in videochat gli amici. È l' unico sfogo che hanno».

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