Addio a emilio riva, che se ne va senza essere riuscito a difendersi per il caso ilva

2 mag 2014 13:54

1. ADDIO A EMILIO RIVA, IL "RAGIUNATT" DELL'ILVA TUTTO ACCIAIO E VELENI
Teodoro Chiarelli per â€˜La Stampa'

Era l'ultimo grande vecchio dell'acciaio italiano. E se n'Ã¨ andato con un enorme rammarico: non essere riuscito a difendersi dalle accuse infamanti che gli sono piovute addosso per le vicende legate all'Ilva di Taranto, il colosso siderurgico al centro delle inchieste della magistratura per inquinamento e reati finanziari. Emilio Riva, il Â«ragiunattÂ», milanese da generazioni, era un imprenditore discusso e controverso, spregiudicato e fors'anche cinico.

Un industriale vecchio stampo, che incarnava lo stereotipo del Â«padrone delle ferriereÂ». Sopravvissuto ad altre due grandi figure dell'acciaio: il bresciano, re del tondino, Luigi Lucchini, e il mantovano Steno Marcegaglia, che da sindacalista si era fatto padrone fino a creare una multinazionale dei tubi.

Eppure, ruvido nei rapporti sindacali e istituzionali, Riva era a modo suo legato ai propri operai. Si vantava: Â«Ho sempre aperto e comprato fabbriche e non ne ho mai chiusa unaÂ». Era diventato il quarto produttore in Europa e il decimo nel mondo, 11 miliardi di euro di ricavi (prima del blitz della magistratura) e 24 mila dipendenti. Da una parte l'Ilva, rilevata a un prezzaccio dallo Stato, l'Iri di Romano Prodi, con i suoi altoforni per i Â«prodotti pianiÂ» (oltre a Taranto, stabilimenti a Genova e Novi Ligure). Dall'altra, la Riva Acciaio e le holding estere (impianti in Spagna, Germania, Francia, Belgio, Canada e Tunisia) specializzate nei Â«prodotti lunghiÂ» da forno elettrico.

Un uomo tutto d'un pezzo, un duro, un padrone d'altri tempi, il Riva ragionier Emilio. Non si sa come abbia reagito nel luglio del 2012 alla notifica degli arresti domiciliari disposti per lui, classe 1926, dal gip di Taranto. PerÃ² a Caronno Pertusella (Varese), dove nel 1957 costruÃ¬ il suo primo stabilimento siderurgico, ricordano ancora quel che disse mentre lo arrestavano nel 1975, accusato di omicidio colposo per un incidente sul lavoro: Â«FinchÃ¨ non esco io, la fabbrica resta chiusa e senza lavoroÂ». E cosÃ¬ fu.

Â«Io non sono un capitalista, ma un imprenditore industriale - ha detto in una delle sue rare interviste - I capitalisti comprano le aziende, le risanano, le rivendono. Vanno in Borsa. Speculano. Io sono diverso. Sono un datore di lavoroÂ». Nei posti di comando del gruppo fondato insieme al fratello Adriano solo figli e nipoti: il primogenito Fabio, 60 anni, delfino designato, i fratelli Claudio, Nicola e Daniele (avuto dalla seconda moglie, una principessa etiope), i nipoti Cesare e Angelo. Manager svezzati dall'Emilio, stessi metodi, uguale grinta. Tutti finiti nel tritacarne delle inchieste, con Fabio inseguito da un mandato di cattura a Londra.

Poco incline ai salotti, Riva non mancava perÃ² di frequentare, con discrezione, Silvio Berlusconi. Tanto da rispondere fra i primi alla chiamata dei Â«patriotiÂ» in cordata per l'Alitalia. In cambio perÃ², sostengono le accuse, della libertÃ di azione a Taranto: impianti spremuti e scarsi investimenti per ridurre l'inquinamento dell'Ilva sulla cittÃ . Il vecchio patriarca preferiva ricevere i pochi amici (come Giorgio Fossa o Cesare Romiti) a casa propria, mettendosi lui stesso dietro ai fornelli e cucinando strepitosi risotti. Dicono che sino alla fine tenesse i numeri principali del gruppo in un libriccino nero che portava sempre con sÃ©: produzione, venduto, guadagni.

Una saga, quella dei Riva, iniziata nel dopoguerra, quando il giovane Emilio, figlio di un commerciante di rottame, si comprÃ² un vecchio Dodge americano per raccogliere e distribuire il rottame alle nuove imprese elettrosiderurgiche della pianura padana. Poi arriverÃ il primo stabilimento di Caronno Pertusella. Senza di lui il destino del gruppo Ã¨ ancora piÃ¹ denso di incognite. L'Ilva Ã¨ commissariata, servono almeno 4 miliardi di investimenti.

La famiglia Riva, senza il collante del vecchio leone Emilio, Ã¨ divisa: gettare la spugna o proseguire, magari con un partner estero? E alla fine, il Â«ragiunatt dell'acciaioÂ» verrÃ ricordato come un padrone spregiudicato che ha guadagnato sulla pelle degli abitanti di Taranto, o come un importante industriale, con le sue ombre ma anche le sue luci? Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, non ha dubbi. Â«Con Riva abbiamo perso un grande imprenditore, un vero capitano d'industriaÂ».

2. COSÃŒ I VELENI DEI TRIBUNALI HANNO UCCISO RIVA
Stefano Lorenzetto per â€˜Il Giornale'

Di Emilio Riva, morto nelÂ¬la notte di ieri in una cliÂ¬nica che da un paio di mesi poteva somminiÂ¬strargli solo cure palliative, si diÂ¬rÃ che era giunta la sua ora: il 22 giugno avrebbe compiuto 88 anÂ¬ni. In realtÃ il magnate dell'acciaÂ¬io era morto il 26 luglio 2012, quando un'ordinanza del giudiÂ¬ce per le indagini preliminari di Taranto lo aveva confinato agli arresti domiciliari nella sua villa di Malnate (Varese). A parte due ricoveri di pochi giorni nel cenÂ¬tro cardiologico Monzino di MiÂ¬lano, resi urgenti dal cuore maÂ¬landato, potÃ© uscirne solo dopo un anno, per scadenza dei termiÂ¬ni di custodia cautelare. Ma non da uomo libero: lo stesso Gip gli impose l'obbligo di dimora.

Il suo male incurabile Ã¨ stato il sequestro dell'Ilva di Taranto, che Riva aveva salvato dal falliÂ¬menÂ¬to e trasformato nella piÃ¹ imÂ¬portante acciaieria del continenÂ¬te, sostituendosi allo Stato in seÂ¬guito alla liquidazione dell'ItalsiÂ¬der. Il tumore osseo che ha conÂ¬sumato l'imprenditore milaneÂ¬seÂ¬si era manifestato all'avvio delÂ¬l'inchiesta per disastro ambienÂ¬tale dalla quale sarebbe uscito senza condanne epperÃ² cadaveÂ¬re. La caduta delle difese immuÂ¬nitarie sopravviene quando il doÂ¬lore diventa troppo pesante per essere sopportato anche da chi abbia spalle larghe come le sue. Sono gli effetti della privazione di ciÃ² che per un essere umano conÂ¬ta di piÃ¹: la libertÃ personale.

PoichÃ© si deve presumere che nella vicenda giudiziaria di Riva tutto si sia svolto secondo i crismi di legge, e tenuto conto del fatto che l'ultimo scorcio della sua vita Ã¨ stato dominato per intero dai magistrati, si puÃ² ben concludeÂ¬re che egli sia morto per un eccesÂ¬so di giustizia. Un po' come acÂ¬cadde ad Alessandro Magno, del quale fu detto che perÃ¬ grazie alÂ¬l'aiuto di troppi medici.

Il paragone storico non sembri inappropriato. Al di lÃ dell'infaÂ¬me vulgata che ha tramutato l'ex rottamaio in un assassino d'inerÂ¬mi cittadini per sete di guadaÂ¬gno, l'ex Â«ragiunattÂ» con laurea ad honorem in ingegneria mecÂ¬caniÂ¬ca era davvero l'ultimo conÂ¬dottiero della siderurgia italiana.

Il piÃ¹ grande: 38 stabilimenti nel mondo, 30.000 dipendenti, 10 miliardi di euro di fatturato. FaÂ¬cendo onore al proprio caratteÂ¬re, forgiato con lo stesso materiaÂ¬le che gli diede fama, ricchezza e tormento, ha resistito qualche mese piÃ¹ dei colleghi Luigi LucÂ¬chini e Steno Marcegaglia, usciti di scena tra effluvi d'incenso.

L'anno scorso, ormai prigioÂ¬niero da dieci mesi in casa proÂ¬pria, Riva si rese conto che niente avrebbe piÃ¹ potuto riportare in paritÃ la bilancia della giustizia e restituirgli l'onore perduto. Non i suoi avvocati, pur abilissimi. Non i giornali, abituati a trattarlo con la simpatia che circondava i monatti di manzoniana memoÂ¬ria. NÃ© tantomeno, figurarsi, le toÂ¬ghe. PoichÃ© avvertiva che il suo tempo stava per compiersi,penÂ¬sÃ² a un j'accuse zeppo di fatti e di dati, che potesse riabilitarlo nelÂ¬la memoria degli eredi. Un libro. Si ricordÃ² allora di un giornalista che lo aveva intervistato 11 anni prima sul Giornale . Il 21 maggio volle che incontrassi la moglie, Giuliana Du Lac Capet, nella sua casa milanese di via Verri.
AllenaÂ¬ta dal consorte ad andare subito al nocciolo delle questioni, la siÂ¬gnora mi chiese: Â«Ãˆ impegnato domenica prossima? La accomÂ¬pagnerei a Malnate da mio mariÂ¬to, cosÃ¬ potrebbe cominciare suÂ¬bito a raccogliere la sua veritÃ . Non c'Ã¨ tempo da perdereÂ». Fui costretto a obiettarle che,avviciÂ¬nando un estraneo senza l'autoÂ¬rizzazione del magistrato, egli si sarebbe reso responsabile di evaÂ¬sione. Non solo: io avrei potuto essere inquisito per concorso nel medesimo reato. Si trattava di un rischio che ero disposto a correre. Ma il suo legale temeva che Riva finisse ristretto a San VitÂ¬tore. L'anziano recluso dovette perciÃ² accantonare il progetto editoriale a lungo accarezzato e che aveva giÃ trovato un editore. Anche l'ultima possibilitÃ di auÂ¬todifesa gli veniva negata.

Dunque Ã¨ cosÃ¬ che Ã¨ morto RiÂ¬va: senza voce. Sarebbe stato inÂ¬vece interessante, oltrechÃ© giuÂ¬sto, fargli commentare il rapporÂ¬to di Legambiente, nemica giuraÂ¬ta dell'Ilva, dal quale nel 2012, in piena bufera giudiziaria, risultaÂ¬va che, su 55 capoluoghi di proÂ¬vincia presi in esame, Taranto fiÂ¬guravaal 46˚ postonella classifÂ¬i-canazionaledell'inquinamento da polveri sottili, preceduta da Torino,Milano,Verona,AlessanÂ¬dria, Monza e altre 40 cittÃ . OppuÂ¬re farlo parlare di quel procuratoÂ¬re capo della Repubblica di TaÂ¬ranto che aveva scritto con largo anticipo come sarebbe andata a finire questa brutta storia: Â«Con la vittoria del bene sul maleÂ».

DoÂ¬ve il bene erano i giudici e il male Riva. Una sentenza contenuta nella prefazione di un libro per bambini, nel quale si raccontava che nella cittÃ pugliese, per colpa dell'Ilva,Â«il cielo era sempre scuÂ¬ro e la gente si ammalavaÂ», ma poi arrivava un dio che tuonava: Â«Adesso basta!Â». E giurava: Â«Col mio soffio spegnerÃ² le ciminiere, porterÃ² via i fumi e manderÃ² a caÂ¬sa gli uomini d'acciaio! Â». PromesÂ¬sa mantenuta: prima a casa e da lÃ¬ direttamente al cimitero.

A Emilio Riva non hanno portaÂ¬to bene nÃ© l'avversione per il coÂ¬munismo, che tuttavia non gl'imÂ¬pedÃ¬ di acquisire e far ripartire due cadenti acciaierie dell'ex Ddr dove al suo arrivo trovÃ² un presidio di militari dell'Armata rossa, nÃ© il munifico obolo di San Pietro che per anni, in gran segreÂ¬to, versÃ² direttamente nelle maÂ¬ni di PapÂ¬a Wojtyla per consentirÂ¬gli di pagarsi i suoi viaggi apostoliÂ¬ci nei cinque continenti. ChissÃ che il custode delle chiavi decusÂ¬sate non gli abbia adesso dischiuÂ¬so, dopo tanta prigionia domestiÂ¬ca, almeno le porte di quel paraÂ¬diso nel quale ha sempre speraÂ¬to. Un risarcimento postumo che l'industriale siderurgico non poteva aspettarsi dalla giustizia umana, ma solo da un santo freÂ¬sco di canonizzazione.