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DAGOREPORT - SERVIZI E SERVIZIETTI: IL CASO ALMASRI E' UN “ATTACCO POLITICO” ALLA TRUMPIANA MELONI?…
1.I PIZZINI ARRIVATI IN CARROZZA
Da “la Repubblica”
MESSINA DENARO FIANCHEGGIATORI
Sembrano usciti da un romanzo di Andrea Camilleri gli uomini che proteggevano la latitanza di Matteo Messina Denaro, il boss delle stragi che sembra imprendibile dal 1993.
‘U zu Vitu coffa, l’anziano capomafia di Mazara Vito Gondola, e il giovane imprenditore Michele Terranova, titolare di un caseificio molto apprezzato nel Trapanese. «Ci vediamo alla mannara», si dicevano al telefono. «Ho una rinisca ( una pecora, ndr ) buona — sussurrava uno — quando vossia finisce di mungere la scannamu ». E l’altro chiedeva: «La ricotta è pronta?». Era il segnale che i pizzini del latitante erano arrivati.
‘U zu Vitu coffa era il custode delle comunicazioni di Messina Denaro. Questo dice l’ultima indagine di polizia e carabinieri del Ros coordinata dai sostituti Paolo Guido, Carlo Marzella e dal procuratore aggiunto Teresa Principato. Sono scattati undici arresti in provincia di Trapani. Ma non è ancora chiaro da dove arrivassero i pizzini. Le intercettazioni dicono che ogni tanto l’anziano padrino faceva quelle telefonate colorite. E il giovane imprenditore capiva che doveva subito convocare una riunione nella sua masseria sperduta fra le campagne fra Mazara e Salemi.
MESSINA DENARO FIANCHEGGIATORI
Lì, Gondola nascondeva sotto un masso i pizzini e poi li consegnava a un altro vecchio mafioso, Michele Gucciardi. Dicendogli: «Io ho tutto fra le mani, ma dobbiamo stare attenti». E Gucciardi commentava: «Io me lo immaginavo che c’era qualcosa in arrivo, con la stessa carrozza arrivaru ». Dal 2012, le indagini sulla primula rossa di Cosa nostra si sono strette in quel lembo di terra attorno alla masseria.
Contrada Lippone, una distesa di terra brulla e sassi. I poliziotti delle squadre mobili di Palermo e Trapani, con i colleghi dello Servizio centrale operativo, hanno cercato di scoprire quale fosse la «carrozza» di cui sentivano nelle intercettazioni. E hanno registrato con una potente telecamera sette incontri fra Gondola e Gucciardi. I pizzini di Messina Denaro sarebbero arrivati il primo giugno 2012, poi il primo ottobre e il 27 novembre, quindi il 29 giugno 2013. Segnali della via di ritorno sono stati registrati il 14 dicembre 2012, il 27 marzo e il 27 luglio 2013.
MESSINA DENARO FIANCHEGGIATORI
Il latitante imponeva regole precise per i pizzini: vanno distrutti subito dopo la lettura; e le risposte devono essere recapitate entro 15 giorni. Ma del contenuto dei pizzini continuiamo a non sapere nulla. Gli inquirenti hanno il sospetto che quei biglietti possano essere andati in giro per l’Europa.
Viaggiava molto un fedelissimo di Gondola, l’imprenditore Mimmo Scimonelli. Si divideva fra il Vinitaly, per presentare il suo consorzio di produttori e la Svizzera, dove aveva aperto alcuni conti. Lì, sono stati fatti controlli. Fino all’anno scorso, Scimonelli faceva anche parte del consiglio nazionale della Dc di Angelo Sandri. Il ministro della Giustizia si è congratulato con il procuratore Lo Voi per l’indagine. Renzi su Facebook: «Avanti tutta per catturare il latitante».
(s.p.)
MESSINA DENARO FIANCHEGGIATORI
2. IL SACERDOTE E UNA DONNA LE NUOVE PISTE NELLA CACCIA ALL’ULTIMO BOSS IMPRENDIBILE
Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo per “la Repubblica”
Matteo c’è e non c’è. Vicino o lontano, a volte non si sente nemmeno il suo odore. Ancora un po’ e supera per latitanza anche Totò Riina, il capo dei capi di Corleone che ricercato e libero è rimasto per un quarto di secolo.
Negli ultimi mesi l’hanno perfino cercato con uno di quegli aerei spia della Finanza che pattugliano il Mediterraneo alla ricerca di barconi e di passeurs , hanno riempito i rami di ulivo di microtelecamere per filmare tutto quello che si muoveva nelle campagne della provincia trapanese, hanno piazzato cimici sofisticatissime sotto zolle di terra e fra le spighe di grano, hanno usato telescopi e tutto quello che di meglio può offrire la tecnologia.
Ma niente, niente di niente, Matteo Messina Denaro, ultimo rappresentante di quella Cosa Nostra che ha il «sapere» delle stragi siciliane, è introvabile e invisibile. Un fantasma molto protetto.
La grande caccia che da qualche anno è partita per stanare l’ultimo latitante mafioso — ma lo possiamo definire così, solo un «latitante», uno di cui praticamente non conosciamo neanche la faccia? — fa il vuoto intorno a lui e lui fa il vuoto intorno a chi lo insegue. Poliziotti e carabinieri (per la prima volta affettuosamente insieme) di altissimo profilo ed esperienza che tutti riescono a prendere tranne questo figlio del campiere dei D’Alì — Antonio, uno della famiglia, evviva, è perfino diventato senatore e sottosegretario all’Interno — che ha ereditato dal potere corleonese il comando della compagnia e forse anche l’archivio del vecchio «zio Totò», una bomba atomica che gira dal 15 gennaio del 1993 per l’Italia.
Sarà per questa ragione — a proposito di sostegni e coperture — che Messina Denaro c’è e non c’è? Sembra lì sul punto di scivolare nella trappola ma all’ultimo momento torna invisibile, sembra accerchiato ma poi fa perdere sempre le sue tracce. Dov’è Matteo? È nella sua Castelvetrano? È in Svizzera? Va e viene da Tunisi? È nascosto in qualche masseria della Sicilia interna coccolato da insospettabili amici? E chi lo sa.
Non lo fanno certo capire i suoi complici Vito Gondola da Mazara e Michele Gucciardi da Salemi che parlottano in un casolare e dicono tutto e il contrario di tutto. Uno: «Ora lui è là… a Santa Ninfa». Santa Ninfa, piccolo paese spazzato via dal terremoto del 1968 nella valle del Belice. L’altro: «Io, è assai che non lo vedo, almeno da vent’anni ». È a pochi chilometri o è dall’altra parte del mondo? Dov’è Matteo?
L’ultima soffiata sull’imprendibile viene da una fonte che sembra bene informata. Agli investigatori ha raccontato di un sacerdote che di tanto in tanto si scambia «saluti » con il superlatitante. C’è un’indagine per scoprire l’identità del prete, capire quale legame ha davvero con Matteo, per conto di chi si sarebbe aperto questo «dialogo ». La vicenda del prete fa affiorare vecchie storie.
Anche don Ciccio, il padre di Matteo, aveva in latitanza un suo confessore. Era religiosissimo il campiere dei banchieri e latifondisti D’Alì. E aveva preteso che il padrino per la cresima di suo figlio fosse l’imprenditore più famoso di Mazara, Paolo Forte, presidente anche della Folgore, la squadra di calcio della città. Con quale documento andava in giro nella primavera- estate del 1993 — quando ordinava di mettere bombe a Firenze, a Roma, a Milano — Matteo Messina Denaro? Con la carta d’identità di Paolo Forte. È da quel momento che ha acquisito lo status di latitante, giugno 1993, scomparso da ventitré anni.
Preti ma anche donne. Quelle di famiglia e poi le altre. Quante? «Tante», è la voce del popolo che alimenta la leggenda del latitante che fa innamorare ogni femmina che incontra, dannato e irresistibile, la solita zuppa dell’«eroe» costruito dalla mafia a uso e consumo di chi di mafia si alimenta. Saranno tante o anche tantissime le sue donne, ma poliziotti e carabinieri per ora ne cercano solo una, quella che scriverebbe i «pizzini » per lui.
«Scrittura femminile», assicurano periti e grafologi che studiano i messaggi di Matteo. Pare che lui non voglia lasciare tracce, ossessionato dalla sua sicurezza: ecco perché utilizzerebbe una scrivana per le sua ambasciate.
Vero? Falso? Dopo ventitré anni di Matteo sappiamo tutto e niente, abbiamo una ricostruzione fotografica della sua faccia fatta al computer, conosciamo i suoi soprannomi — Diabolik e Testa dell’Acqua — e qualche pizzino lasciato a Bernardo Provenzano o ritrovato qua e là nelle cento e passa operazioni poliziesche che ogni volta hanno smantellato la sua rete di difesa che poi si è miracolosamente riprodotta.
«Lui resta un capo in piena operatività», garantisce Renato Cortese, il direttore del Servizio Centrale Operativo della polizia che nell’aprile del 2006 riuscì a catturare Provenzano dopo 42 anni che il corleonese vagava indisturbato per città e paesi della Sicilia. Ve l’avevamo detto all’inizio di questo articolo: Matteo si sta preparando a battere qualche record in materia di latitanza. Se ci riuscirà o meno non possiamo dirlo, però di certo — visto lo spiegamento di forze in campo e la qualità della macchina investigativa — qualcuno lo sta aiutando a restare al comando e al riparo. E non solo mafiosi.
Come nel passato più recente, come per molti latitanti di Cosa Nostra, Matteo può contare su appoggi indicibili, magari sul soccorso di quegli stessi personaggi che si è ritrovato al fianco nel 1993 per le stragi in Continente e un anno prima per Capaci e via D’Amelio. Nessuno li ha mai trovati, sono rimasti «i mandanti altri», invisibili come lui. Qualche mese fa la procura di Caltanissetta ha chiesto che Messina Denaro venga arrestato anche per l’uccisione di Falcone e Borsellino, un altro mandato di cattura per un irreperibile permanente. Uno che, quando verrà preso (perché, vivo o morto, verrà preso), farà segnare la fine dell’Italia dei misteri e delle bombe. Per il momento accontentiamoci di questa caccia grossa. Intorno, sempre intorno.
3. TERESA PRINCIPATO: PROTEZIONE E VIAGGI ALL’ESTERO
Alessandra ZIniti per “la Repubblica”
scritte inneggianti a matteo messina denaro
Non c’è ministro dell’Interno che negli ultimi cinque anni non abbia annunciato l’imminente cattura di Matteo Messina Denaro. E oggi che altri undici favoreggiatori del superlatitante sono finiti in carcere, anche Teresa Principato, il procuratore aggiunto che insieme ai sostituti Paolo Guido e Carlo Marzella, guida la caccia alla primula rossa, ammette: « Anch’io, un anno e mezzo fa quando abbiamo arrestato sua sorella Patrizia mi sono detta: “Ormai è fatta, uscirà allo scoperto”. E invece mi sbagliavo. Aveva ragione il dichiarante Lorenzo Cimarosa che ci ha detto: “Quello è un parassita, che non si cura minimante di nessuno, neanche dei legami familiari, sfrutta tutti per garantirsi la latitanza”. Ma è chiaro che non può essere solo questo».
E allora cosa? Com’è possibile che questo cerchio che si stringe ormai da anni non riesca a portare alla cattura dell’ultimo grande latitante di Cosa nostra?
«Non c’è dubbio che Messina Denaro goda a tutt’oggi di forti protezioni molto molto importanti, ad alto livello. Posso dire che questa è ormai una certezza e stiamo indagando a fondo anche su questo per capire come sia possibile che, nonostante l’eccellente lavoro che polizia e carabinieri finalmente insieme e in perfetto coordinamento stanno svolgendo sul territorio, riesca sempre a sfuggirci. Negli ultimi cinque anni abbiamo arrestato più di cento persone al suo “servizio”, fondamentali per la sua catena di comando ma soprattutto per le sue comunicazioni, abbiamo sequestrato e confiscato beni per centinaia di milioni di euro, gli abbiamo fatto più volte terra bruciata attorno, arrestato familiari strettissimi su cui faceva grande affidamento. Eppure non riusciamo ancora a prenderlo».
Lei è convinta che, come successo per Riina e Provenzano, si nasconda qui nel suo territorio o che sia fuori dalla Sicilia?
«Quello che è certo è che si muove e pure parecchio, fuori dalla Sicilia e anche all’estero. Quando sente stringersi attorno a lui il cerchio taglia i contatti con i fedelissimi finiti sotto indagine e per almeno due anni non ha più alcun contatto con loro».
Gli uomini a cui sembra affidarsi sono i più diversi: dai pecorai ai professionisti. A che strategia risponde?
«Non facciamoci ingannare dai pecorai. Alla fine, come abbiamo visto, il circuito coinvolge persone di ogni genere che gestiscono le sue comunicazioni, ma anche i suoi affari e le sue finanze, come dimostrano i conti in Svizzera intestati ad alcuni prestanome che abbiamo individuato. E però non posso non sottolineare una particolarità ».
Boss Matteo Messina Denaro - Identikit elaborato dalla polizia
Quale?
«Quasi tutti i suoi favoreggiatori operavano già con una condanna o con un procedimento di prevenzione. Segno che o le pene sono troppo lievi o c’è un’aspettativa di lavoro o di guadagno molto alta che però va scemando ».
Lo prenderete?
«Mi sento di dire che siamo alle battute finali ».
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