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UN ALPINISTA ITALIANO, LUCA SINIGAGLIA, È MORTO IN KIRGHIZISTAN PER SALVARE UNA SCALATRICE RUSSA, BLOCCATA A 7 MILA METRI, SUL MASSICCIO DEL TIEN SHAN - LA DONNA SI ERA ROTTA UNA GAMBA, NON AVEVA CON SÉ UNA RADIO ED ERA RIMASTA SENZA CIBO - L'ALPINISTA È RIUSCITO A RAGGIUNGERE LA SCALATRICE, LE HA PORTATO DEL CIBO, UN SACCO A PELO E HA FORNITO LE COORDINATE AI SOCCORRITORI (CHE STANNO TENTANDO DI RAGGIUNGERLA) - L'ITALIANO È RIMASTO INTRAPPOLATO DA UNA BUFERA ED È MORTO DI IPOTERMIA...
Estratto da http://www.lastampa.it/
Luca Sinigaglia era un alpinista italiano di grande esperienza. Un uomo abituato a misurarsi con l’altitudine, con il gelo, con la fatica estrema. Ma soprattutto, era un uomo che sapeva cosa significa non voltarsi dall’altra parte quando qualcuno è in pericolo, anche a costo della propria vita.
È morto così, su una delle montagne più dure del mondo, il Pobeda Peak, nel cuore del massiccio del Tien Shan, in Kirghizistan. Un gigante di ghiaccio e vento alto 7.439 metri, noto tra gli alpinisti per essere una delle cime più pericolose dell’Asia centrale. A ucciderlo non è stata una caduta, ma qualcosa di più subdolo: il freddo assassino dell’alta quota, un edema cerebrale da altitudine, l’ipotermia, il gelo che non perdona. Ma prima di cedere, Luca ha compiuto un gesto che lo definisce più di ogni curriculum o vetta conquistata: ha cercato di salvare una vita.
Quando ha saputo che Natalia Nagovitsyna, scalatrice russa, era bloccata a oltre 7.000 metri con una gamba fratturata, senza cibo, senza radio, in una tenda ormai distrutta e circondata da maltempo incessante, non ha esitato. Non l'ha fatto per dovere, non per fama, non per calcolo. [...]
Insieme a un alpinista tedesco, Luca ha raggiunto Natalia nel suo campo precario. Le ha portato cibo, un sacco a pelo, un fornello e una bombola di gas: tutto ciò che poteva servirle per sopravvivere un’altra notte in quelle condizioni estreme. Ha cercato di offrirle non solo materiali, ma anche presenza, umanità, conforto. Quello che però nessuno può controllare a quelle quote è l'imprevedibilità del clima, la violenza dell'ambiente, i limiti del corpo umano anche quando è allenato, esperto, determinato.
Luca – milanese, classe 1976, esperto di cyber sicurezza - è rimasto bloccato a quota 6.900 metri, intrappolato da una bufera che non ha lasciato scampo. È morto lì, in quota, come vivono gli alpinisti veri: facendo la cosa giusta, pur sapendo quanto sarebbe stato rischioso.
Natalia, che quattro anni fa aveva perso il marito – anch’egli alpinista – sul vicino Khan Tengri, è ancora lì. Intrappolata da giorni. I tentativi di evacuazione via elicottero sono stati finora impossibili a causa delle condizioni meteorologiche proibitive. I soccorritori hanno tratto in salvo decine di alpinisti nei giorni scorsi, ma non sono riusciti a raggiungere lei, ferma e isolata oltre i 7.200 metri, troppo in alto, troppo vulnerabile, troppo lontana per gli elicotteri e le squadre a terra.
Il corpo di Luca si trova ora in una grotta di fortuna. Non è ancora stato ufficialmente recuperato. Ma il suo gesto ha già raggiunto chiunque sappia cosa vuol dire affrontare la montagna con rispetto, umiltà e senso di responsabilità verso gli altri. Perché se è vero che la montagna mette alla prova il corpo, è anche vero che rivela il carattere. [...]
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