DAGOREPORT - MARIA ROSARIA BOCCIA COLPISCE ANCORA: L'EX AMANTE DI SANGIULIANO INFIERISCE SU "GENNY…
Ilaria Ulivelli per http://www.lanazione.it
Giulio, lei è nato femmina. Ma dice si essersi sempre sentito intrappolato in un corpo che non le apparteneva: quando si è accorto la prima volta di desiderare di essere maschio?
«Da sempre, da quando ho ricordo della mia infanzia. Già all’età di tre anni, all’asilo, ero attratto dal mondo dei bimbi. E poi dopo, alle elementari, se si giocava a famiglie io facevo il marito, se si giocava a pallone ero il primo a entrare in squadra. Io tiravo con la fionda, come i ragazzacci. Sa, da noi, in campagna eravamo un po’ dei selvaggi e nel gioco esprimevamo la nostra personalità. I maschi mi sentivano uno di loro: non c’erano differenze».
E’ normale fra bambini provare altri ruoli: le bambole e i soldatini sono un po’ stereotipi. Ma in casa, cosa succedeva con i fratelli, con i genitori?
«Noi siamo una famiglia numerosa, ho tre fratelli maschi e due femmine. Mamma mi ha sempre vestito con gli abiti smessi dei miei due fratelli più grandi: ho avuto la fortuna che mi toccassero abiti da maschietto. Ogni volta che mi metteva le calze di lana e la gonna ho sempre pianto fino a urlare e battere i piedi».
Era scontento dei regali che riceveva?
«Per fortuna non ho quasi mai ricevuto regali da femmina. Ma cose neutre, tipo pattini, giochi per le costruzioni...».
Poi c’è stato il dramma della comunione.
«A nove anni, da me si usava dare i santini a tutto il paese. Annunciando l’evento ad amici e parenti che a quel punto si sentivano quasi in dovere di farti un regalo. Ero felice perché avevo visto i regali che aveno ricevuto i miei fratelli maggiori, che mi piacevano da morire: orologi, penne stilografiche. Anche a me mia zia ha regalato l’orologio, solo che non era come quelli: era da femmina. Mi misi a piangere in mezzo ai primi corredini, prendedno consapevolezza che il mio ruolo sociale non sarebbe mai stato quello di un maschio».
E lei con tutte le forze voveva essere un maschio.
«Cercavo di essere buono, sperando che per Natale Gesù mi avrebbe fatto crescere il pisellino. E ogni sera andavo a dormire sperando che la mattina avrei avuto una bella sorpresa. Ma restavo sempre deluso. Fino a quanto all’età della pubertà ho capito che non c’erano più speranze».
Invidiava i suoi fratelli?
«Certo. Invidiavo loro e tutti i maschi. Perché loro erano ciò che io non avrei mai potuto essere».
Con chi si sentiva meglio?
«Quando vivevo nel mio mondo. Stavo con gli altri ma sapevo anche essere un tipo solitario: quando giocavo da solo potevo essere il principe, l’attore, l’eroe».
Quando è cresciuto non ha mai pensato che avrebbe potuto accettare il suo corpo e vivere come un maschio ugualmente?
«Io volevo essere un marito. Avrei preferito essere lesbica, che non sarebbe stato semplice da fare accettare. Ma più facile. Invece era tutto maledettamente più complicato per me, io non mi sentivo una lesbica, le conoscevo, ma io mnon ero come loro. Allora mi chiedevo ma chi sono, perché sono così?».
Non solo una questione di prefenza sessuale.
«Le donne mi piacevano, era fuor di dubbio. Ma che senso aveva conquistare una donna se poi non potevo farci quello che avrebbe potuto solo un uomo? Da quel momento ho smesso di vivere e ho cominciato a sopravvivere. Un periodo di sofferenza lunghissimo, cercando di adattarmi a una vita imposta, rassegnato al sesso che mi è stato dato».
A un certo punto punto poi il corpo cambia.
«Sono sempre stata una persona minuta. Ma la natura nella pubertà la natura esplode, c’è poco da fare. Ho avuto uno sviluppo tardivo, a 16 anni. Mi nascondevo in cappottoni, giubbottoni, maglioni. Capelli a caschetto fino a che non ho potuto permettermi un taglio corto, anche grazie al fatto che andava di moda».
Grazie a un articolo di giornale ha capito che avrebbe potuto cambiare sesso.
«Sì, un’intervista a un ragazzo di Torre del Lago mi ha aiutato moltissimo, anche se avevo tanti dubbi. Mille paure. Poi ho continuato a cercare, su internet. Ho saputo che a Careggi facevano l’intervento con la tecnica più avanzata, quella che non avrei potuto permettermi perché sarei dovuto andare all’estero, già che ancora in Italia non ci sono altri centri così specializzati.
Per me è stata la realizzazione di un’esigenza, non un sogno che si avvera: quello è di vincere la schedina. Un miracolo, il regalo più grande per il mio quarantatreesimo compleanno. Quasi non ci credo, di notte mi sveglio e con la mano vado a controllare se c’è. L’ho sognato mille volte che crescesse e ora sento che c’è davvero. E’ una felicità, un ’euforia che non si può spiegare.
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