DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Lucio Caracciolo per “la Stampa”
La guerra di Ucraina sta entrando nell'inverno della verità. Verità su chi prevarrà nel conflitto e verità su chi vuole cosa. Il relativo stallo sul terreno del Donbas, dopo le recenti avanzate ucraine, è seguito dall'attacco russo al popolo "fratello", che si vuole piegare privandolo di elettricità, acqua, cibo bombardandone le infrastrutture energetiche. Per fiaccare la resistenza ucraina, dividendola fra "colombe" e "falchi" - pochissime le "colombe" - e costringendola alla resa. Le temperature stanno per precipitare e tra un paio di mesi, ha calcolato Vladimir Putin, Zelensky sarà costretto a cedere. O sarà rovesciato. A questo punto molto dipende dalle scelte degli occidentali.
Anzitutto degli americani, che hanno permesso a Kiev di resistere grazie a formidabili forniture di armi e abbondanti finanziamenti in denaro. Ma nelle ultime settimane da Washington si sono moltiplicati i segnali agli ucraini perché accedessero alla logica del negoziato. Nella valutazione del Pentagono la vittoria totale sul terreno, ovvero la riconquista di Crimea e Donbas, è impossibile.
Allo stesso tempo, i vertici Usa hanno stabilito un dialogo permanente con le strutture del Cremlino. Salvo Putin e Biden, che si ignorano dal 24 febbraio, i massimi dirigenti russi e americani sono in filo diretto permanente. La gestione dell'incidente missilistico in Polonia, attribuito a un errore ucraino, ha reso ancora più evidente tanta pressione.
Con gli alleati atlantici pronti a sottoscrivere la versione concordata da americani e russi, infatti apprezzata dal Cremlino per bocca del portavoce di Putin. Zelensky e i suoi sono rimasti soli ad accusare i russi per quel missile assassino. Non solo. Emergono con sempre maggiore evidenza le faglie in campo euroatlantico. Divisioni che seguono tendenze già attive prima del conflitto, dovute alle diverse culture strategiche e ai divergenti interessi geopolitici dei vari paesi.
Insomma i turchi sono turchi, i polacchi polacchi, i tedeschi tedeschi e gli inglesi inglesi: semplicemente non possono pensarla allo stesso modo. Né tantomeno agire in sintonia. Ieri Boris Johnson ha contribuito a chiarire quel che già si poteva intuire, e cioè che Germania, Francia e Italia hanno più di altri cercato di evitare il conflitto, negando a sé stesse la realtà dei fatti.
Nel caso tedesco, poi, la linea Scholz prima del 24 febbraio sarebbe stata ancora più secca: "Se deve succedere, succeda. Sarebbe un disastro. Meglio che finisca rapidamente e che l'Ucraina si pieghi". Secondo l'ex premier britannico, le ragioni dei tedeschi erano puramente economiche. Conviene tenere presente queste motivazioni, non solo tedesche, in vista della ricostruzione post-bellica dell'Ucraina.
vladimir putin volodymyr zelensky
Ci siamo fatti sorprendere dalla guerra. Non avremo scuse se ci faremo sorprendere anche dal dopoguerra. Sappiamo che l'Ucraina non potrà rimettersi in piedi con i suoi soli mezzi. E' probabile che a fine inverno i danni subìti dal paese in seguito all'aggressione russa superino il trilione di euro. Cinque volte l'attuale prodotto interno lordo. Domanda: dopo aver subìto il contraccolpo delle sanzioni e delle controsanzioni, considerando possibile una recessione per l'anno prossimo, quanta voglia avranno governi e popoli europei di correre in soccorso degli ucraini?
E come reagiranno alla prospettiva che milioni di profughi ucraini si stabiliscano nei rispettivi paesi? Temi che non si mettono oggi sul tavolo. Ma non è rimuovendo la realtà, ovvero che l'Ucraina in stato di destabilizzazione permanente sarebbe un disastro anche per tutti noi, che possiamo sperare di essere all'altezza della sfida che il dopoguerra - sia fra mesi o anni - inevitabilmente ci porrà.
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