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CON IL SOCIAL TI SPENNO – GLI AVVOCATI DIVORZISTI FANNO I DETECTIVE SU FACEBOOK E SMASCHERANO LE BUGIE DELL’EX CONIUGE – BASTANO POCHI CLIC, E IN ALCUNI CASI UN PROFILO FALSO, E SALTA TUTTO FUORI: VACANZE, AMANTI, CASE E CONSUMI – E IN UN PROCESSO SONO CONSIDERATE PROVE

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Greta Sclaunich per il “Corriere della Sera”

 

Alla ex moglie aveva detto di non poter andare a prendere i figli al calcetto perché immobilizzato da una tibia rotta.
Invece era su un panfilo a Montecarlo (e senza ombra di gesso alla gamba). Al ritorno dalle vacanze si è trovato un' intimazione del giudice e il rischio di vedere la responsabilità genitoriale sospesa.

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Niente investigatori privati o amici che fanno la spia: è bastato sfogliare le sue foto su Facebook, dove le lussuose ferie erano documentate con selfie e foto di gruppo. «Si credeva furbo perché aveva bloccato la ex dai suoi contatti.

 

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Ma lei ha creato un account falso con la foto di una donna bella e provocante e gli ha chiesto l' amicizia: lui ha accettato subito ed è caduto in trappola», racconta Gian Ettore Gassani, presidente dell' Associazione avvocati matrimonialisti italiani (Ami). Di casi così ne vede ogni giorno. Da anni.


C' è quello che sostiene di non avere i mezzi per pagare l' assegno di mantenimento e poi pubblica su Facebook le foto su uno yacht alle Maldive, quella che nega relazioni extraconiugali e poi su Instagram posta foto romantiche con l' hashtag #love. C' è l' irreprensibile che si geolocalizza sempre nello stesso posto, e così si viene a sapere che ha una seconda casa segreta comprata all' insaputa del partner.

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Segreta, si fa per dire. Perché la posizione, l' arredamento e pure le piante sul terrazzo sono a disposizione con pochi click, frugando tra un social e l' altro. Ma soprattutto sono tutti documenti facili da stampare e da inserire nei dossier da portare davanti ai giudici.


Ormai ciò che si trova sui social non è altro che una prova in più e come tale utilizzabile nei processi sul diritto alla famiglia, che si tratti di dimostrare un' infedeltà o di valutare la potenzialità economiche di una persona.


Succede all' estero, soprattutto in Usa e in Nord Europa dove, spiega Gassani, «le penali previste dai patti prematrimoniali rendono gli studi legali ancora più attenti e spregiudicati: alcuni usano anche software speciali per accedere alle chat private».

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Strumenti sofisticati che spesso non servono nemmeno: la piattaforma di blog francese Rue 89 ha pubblicato nei giorni scorsi l' intervista ad una avvocata di Marsiglia che ha raccontato di vincere le sue cause proprio grazie agli screenshot da Facebook.

 

Perché spesso le persone lasciano i loro account «aperti»: per vedere cosa pubblicano non serve nemmeno essere loro amici, basta cercare i profili e sfogliare i contenuti che pubblicano.

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Di legali così ce ne sono anche in Italia. Secondo l' avvocato matrimonialista Cesare Rimini «il livello di guardia delle persone si è talmente abbassato che molti non impostano la privacy su Facebook e lasciano il profilo aperto. Agli avvocati bastano pochi screenshot ben mirati per avere in mano prove sufficienti a "incastrare" chi pensa di fare il furbo».


Annamaria Bernardini De Pace, invece, preferisce che siano i suoi stessi clienti a raccogliere gli indizi: «La prima domanda che faccio è: «Il vostro coniuge usa i social?». Se la risposta è «sì» il gioco è fatto: «Spiego loro cosa devono cercare e che tipo di documenti devono raccogliere. Poi, con un po' di intelligenza e malizia, si incrociano i dati e spesso qualcosa salta fuori».

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Non è difficile e basta un po' d' intuito, altro che pedinamenti da film: «Una persona che segue su Twitter, commenta spesso i post su Facebook e compare negli scatti pubblicati su Instagram magari è qualcosa di più di un' amica. Un partner che piange miseria e poi pubblica foto di piatti chic geolocalizzandosi in ristoranti di lusso forse non ha tutte le difficoltà economiche che sostiene di avere», enumera l' avvocato.

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E i giudici, come reagiscono? «Dicono: bravi. Ai nostri clienti per aver trovato gli elementi giusti, a noi avvocati per aver unito i puntini trasformando gli indizi in prove», conclude Bernardini De Pace.

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Anche quelli che a prima vista potrebbero non esserlo. Come quella signora, ricorda l' avvocato, «che si dipingeva come una mamma perfetta ma pubblicava così tanti post sui social che abbiamo finito per chiederci quanto tempo dedicasse ai figli, visto che pareva vivere attaccata a internet. Se lo sono chiesto anche i giudici, e abbiamo vinto la causa».

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