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Maurizio Belpietro per “Libero Quotidiano”
Che cosa dovete fare se domani qualcuno vi invia una mail in cui vi racconta di essere a conoscenza di reati? Se fate il giornalista dovete rispondergli che non vi interessa nulla di ciò che ha da raccontare, che si rivolga all' autorità giudiziaria e vi lasci in pace prima di mettervi nei guai.
Questa è la lezione che, dopo quarant' anni di professione, ho imparato in questi mesi e non avendo seguito il consiglio che vi ho appena dato, ieri sono stato condannato, insieme con il collega Gianluigi Nuzzi, a dieci mesi e venti giorni di detenzione.
La storia è la seguente. Nel giugno del 2009, quando ancora ero direttore di Panorama, ricevetti una mail in cui due tizi sostenevano di avere cose gravi da raccontare a proposito di un importante gruppo. Come sempre capita in questi casi, presi la lettera e la girai ad uno dei miei migliori cronisti, ossia Nuzzi. Il quale dopo un po' tornò da me raccontandomi che i due erano titolari di un' agenzia di vigilanza che per conto della Coop Lombardia era stata incaricata di spiare i dipendenti e i rappresentanti sindacali nei supermercati. Seguirono settimane in cui il collega ascoltò i due e ne verificò il racconto, facendosi consegnare il materiale.
All' incirca un mese dopo lo stesso Nuzzi mi fece incontrare i titolari dell' agenzia e mi mostrò i video incriminati. La Coop che invece di stare dalla parte dei lavoratori spia i lavoratori è una notizia. Ma i nostri informatori, pur raccontandoci i fatti e fornendoci il materiale, erano un po' spaventati e mi chiesero se, a seguito di eventuali cause, Panorama potesse fornire loro assistenza legale. Risposi di no, ma poi, più tardi, per dar loro una mano telefonai a Bernardo Caprotti, patron di Esselunga, sollecitando un appuntamento. Dovete sapere che la redazione del settimanale della Mondadori e quella della catena di supermercati distano pochi minuti di macchina e che io con Caprotti avevo buone relazioni.
Risultato, il giorno dopo presi un caffè con lui e gli chiesi di dare una mano a due informatori che mi avevano fornito materiale sulla Coop. Punto. Dopo di che con il fondatore di Esselunga non tornai più sull' argomento, né nei giorni successivi né nei mesi che seguirono.
Anche perché, in capo a una quindicina di giorni lasciai il settimanale per assumere la direzione di Libero. In quel momento avevo altro cui pensare che le Coop e le telecamere che avevano registrato a loro insaputa i dipendenti.
Lo stesso dicasi di Nuzzi, che avendo appena dato alle stampe «Vaticano Spa» era impegnato a girare l' Italia per presentarlo. Passarono i mesi ed eccoci giunti a gennaio, con Nuzzi che nel frattempo aveva fatto tutte le sue verifiche, interviste comprese, e dunque era pronto a raccontare il caso ai lettori. La storia finì in prima pagina e io stesso sollecitai la Procura della Repubblica ad accertare i fatti, dichiarandomi insieme con Nuzzi pronto a consegnare le prove.
Risultato, una gragnola di azioni giudiziarie si è abbattuta sul nostro capo, mio e di Nuzzi. L' ultima delle quali ci ha visti imputati di ricettazione (per esserci fatti consegnare il corpo del reato) e di calunnia (per avere pubblicato copia di una fattura che il pm ritiene falsa). Ora qualcuno di voi immaginerà che la nostra colpa consista nel aver dato credito a dei contaballe che avevano fabbricato prove false. Errore. I due informatori, che raccontarono ai pm la stessa storia raccontata a Nuzzi, non si sono inventati le intercettazioni e i filmati.
Quelli ci sono. Così come è provato che loro lavorassero per la Coop e non per lo spirito santo. Ma è anche accertato che il direttore della sicurezza delle Coop dopo quei fatti venne allontanato. E tuttavia la colpa è nostra, mia e di Nuzzi, perché abbiamo raccontato i fatti. Noi, in combutta con Caprotti, avremmo operato un' azione di killeraggio, perché Caprotti, a seguito della mia richiesta, fece lavorare i vigilantes e per di più gli pagò lo stipendio. Dunque il patron di Esselunga, io e Nuzzi saremmo stati in combutta per colpire le Coop, le quali potevano non sapere che qualcuno per conto loro spiasse i dipendenti e perciò siamo finiti a processo.
Per fortuna il giudice ci ha assolti dal reato più grave (pena detentiva da 2 a 8 anni), ma ci ha ritenuto colpevoli di calunnia, condannandoci appunto a 10 mesi e 20 giorni. Perché? Perché i video erano taroccati? No. I video erano veri. Perché erano stati registrati in un ipermercato dell' Esselunga e non in uno della Coop? No. Siamo stati condannati perché in uno dei molti servizi pubblicati abbiamo riprodotto una fattura che il pm ritiene falsa. L' abbiamo redatta noi la fattura? No. Abbiamo attribuito noi una responsabilità al dirigente Coop? No. Né io né Nuzzi conosciamo questo dirigente. Né io né Nuzzi avevamo motivo per tirarlo in ballo. Né io né Nuzzi avevamo rapporti con il suo accusatore.
Risultato, per aver pubblicato una fotocopia, eccoci giudicati colpevoli di calunnia. Piccolo dettaglio: l' autore della fattura che noi abbiamo pubblicato non è stato né indagato né condannato per la fattura. Così come per aver intercettato i dipendenti non è stato processato nessuno, in quanto il reato è prescritto.
Insomma, gli unici colpevoli siamo noi, perché avendo alzato il velo sulla faccenda, rivelando le captazioni vere, abbiamo però pubblicato una fattura ritenuta non vera, che guarda caso era stata inviata alle Coop. Risultato: 10 mesi e 20 giorni. Morale della storia: se qualcuno vi racconta e vi porta le prove di un reato, fate finta di niente anche se avete il sacro fuoco del giornalismo d' inchiesta.
Fate come fece Pier Luigi Bersani, a cui i due vigilantes riferirono la stessa storia che rivelarono a Nuzzi e a me: alzate le spalle e pensate ad altro.
BELPIETRO
bernardo caprotti
IPERCOOP AFRAGOLA COOP CAMPANIA
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