COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Estratto del Prologo del libro “Elon Musk” di Walter Isaacson (Mondadori) - pubblicato da www.corriere.it
la biografia Elon Musk di Walter Isaacson
Il libro esce oggi, 12 settembre, ed è il risultato di due anni di conversazioni tra l'autore e lo stesso imprenditore, proprietario - tra le altre - di società come Tesla, SpaceX e Twitter. Questo brano racconta la difficile infanzia di Musk in Sud Africa. Come ha raccontato lo stesso Isaacson al New York Times: «Tutti noi abbiamo dei demoni nella testa che derivano dall'infanzia, e lui ne ha due ordini di grandezza in più rispetto alla maggior parte di noi. È stato in grado di trasformare questi demoni in un motore.
"Devo fare in modo che gli esseri umani arrivino su Marte, devo portarci nell'era dei veicoli elettrici e devo assicurarmi che l'intelligenza artificiale sia sicura". Si tratta di tre grandi missioni che pensavo fossero solo chiacchiere, ma che lo motivano davvero. Inoltre, desidera così tanto l'eccitazione, il dramma e il rischio che, quando le cose vanno bene, non riesce a lasciar perdere o ad assaporarle. Deve rimettere sul tavolo tutte le sue fiches, il che significa che si può andare in orbita o che ci si può sciogliere».
Il Parco Giochi
Da bambino, crescendo in Sudafrica, Elon Musk conobbe la sofferenza e imparò a superarla. A dodici anni fu mandato in pullman in una colonia chiamata in afrikaans veldskool, scuola di sopravvivenza. «Era un campo paramilitare, tipo Il signore delle mosche» ricorda. I ragazzini ricevevano solo modeste razioni di acqua e cibo, ed erano autorizzati, anzi incoraggiati, a lottare per accaparrarsele.
«Bullizzare era ritenuta una virtù» dice Kimbal Musk, fratello minore di Elon. I ragazzi più grandi impararono subito a prendere a pugni i più piccoli e rubare loro le razioni. Elon, che era basso ed emotivamente impacciato, per due volte fu riempito di botte. Alla fine dimagrì di oltre quattro chili.
Al termine della prima settimana i ragazzi furono divisi in due gruppi ed esortati ad aggredirsi a vicenda. «Fu una mostruosa follia, un’esperienza scioccante» ricorda oggi Musk. Ogni due o tre anni un bambino moriva, e i capigruppo della veldskool raccontavano queste storie a mo’ di monito. «Non siate stupidi come quel coglione che è morto l’anno scorso» dicevano. «Non siate dei coglioni smidollati.»
La seconda volta che Elon andò alla veldskool, stava per compiere sedici anni. Era diventato molto più alto. In un breve arco di tempo aveva superato il metro e ottanta, era grosso come un orso e aveva anche imparato qualche mossa di judo. Così, per lui, la colonia non fu più tanto trauma: «Avevo capito che, se qualcuno mi avesse bullizzato, avrei avuto la forza di sferrargli un bel pugno sul naso, mettendo fine alle provocazioni. Mi avrebbero anche potuto massacrare di botte, ma se gli avessi tirato un gran pugno in faccia, mi avrebbero lasciato perdere.»
Il Sudafrica degli anni Ottanta era un paese violento, dove c’erano assalti con il mitra e spesso la gente moriva accoltellata. Una volta, scendendo dal treno per recarsi a un concerto contro l’apartheid, Elon e Kimbal dovettero scavalcare un cadavere e calpestare la pozza di sangue che gli si era allargata intorno. Il morto aveva ancora il coltello conficcato in testa. Per il resto della serata i due giovani, camminando, produssero un suono sinistro sul selciato con le suole delle scarpe da ginnastica intrise di sangue raggrumato.
La famiglia Musk aveva dei cani lupo addestrati ad attaccare chiunque si aggirasse con cattive intenzioni lungo il perimetro della casa. A sei anni Elon stava correndo nel vialetto d’ingresso dell’abitazione quando uno dei cani lo aggredì, dandogli un gran morso sul sedere. Al pronto soccorso, mentre il personale medico si accingeva a ricucirgli la ferita, non volle essere curato finché non gli promisero che il cane non sarebbe stato punito. «Non lo ucciderete, vero?» si raccomandò. Loro giurarono di no. Rievocando l’avvenimento, Musk fa una pausa e fissa a lungo un punto nel vuoto. «Invece lo uccisero eccome, con un colpo di pistola.»
L’esperienza più straziante fu quella scolastica. Elon rimase per molto tempo il bambino più piccolo di età e più basso di statura della classe. Stentava a cogliere le sfumature sociali. L’empatia non era una sua dote innata e non aveva né il desiderio né l’istinto di ingraziarsi gli altri. Di conseguenza, i bulli lo tormentavano, standogli alle calcagna e prendendolo a pugni. «Se non si è mai ricevuto un pugno in faccia, non si può capire quanto questa esperienza ti lasci per tutta la vita un segno indelebile» afferma.
Una mattina, all’assemblea scolastica, uno studente che giocava in modo sfrenato con un gruppo di amici andò a sbattergli contro. Elon reagì dandogli una spinta. Vi fu uno scambio di insulti. Durante la ricreazione il ragazzino e i suoi amici andarono a cercarlo e lo trovarono intento a mangiare un panino. Gli si avvicinarono da dietro, gli sferrarono un calcio in testa e lo gettarono giù da una scala di cemento. «Poi gli si sedettero sopra e lo massacrarono di botte, continuando a dargli calci in testa» racconta Kimbal, che quando il gruppo era arrivato stava seduto accanto al fratello. «Appena ebbero finito, Elon era irriconoscibile: il viso era come una palla di carne gonfia dove non si distinguevano quasi più gli occhi.» Fu portato all’ospedale e non poté andare a scuola per una settimana. A distanza di decenni, Elon sarebbe stato ancora costretto a ricorrere alla chirurgia plastica per cercare di riparare i tessuti lesi all’interno del naso.
Le ferite fisiche, però, non furono niente in confronto a quelle psicologiche infertegli dal padre, Errol Musk, un ingegnere visionario dalla forte personalità e dai comportamenti discutibili che ancora oggi è fonte di tormento per Elon. Dopo l’aggressione a scuola, Errol si schierò con il ragazzo che aveva preso a pugni in faccia suo figlio. «Aveva appena perso il padre, che si era suicidato, ed Elon gli aveva dato dello stupido» spiega. «Elon tendeva a dare dello stupido a tutti. Come potrei mai biasimare quel bambino?» Quando finalmente il figlio tornò dall’ospedale, suo padre lo sgridò. «Per un’ora mi toccò sopportare che mi urlasse addosso che ero un idiota e non valevo niente» ricorda oggi Musk. Kimbal, che assistette all’invettiva, confessa che è il peggior ricordo della sua vita. «Mio padre perse il controllo e, come accadeva spesso, diede fuori di matto. Era un uomo del tutto privo di compassione.»
Secondo sia Elon sia Kimbal, che hanno troncato i rapporti con il padre, l’accusa di Errol secondo cui sarebbe stato suo figlio a provocare la scazzottata era del tutto assurda e l’aggressore alla fine fu mandato in riformatorio. I due fratelli concordano nel definire il padre una persona volubile e bugiarda, che racconta continuamente storie infarcite di particolari inventati, dettati a volte dal calcolo, altre dal puro delirio. Ha una personalità alla Jekyll e Hyde, aggiungono. Se in certi momenti mostrava un atteggiamento amichevole, in altri vomitava per un’ora o più un fiume di insulti. Terminava ogni filippica dicendo a Elon che faceva pena. E lui era costretto a starsene lì in piedi a sorbirsi la ramanzina, senza potersene andare. «Era una tortura psicologica» dice, facendo una lunga pausa per dominare un lieve groppo in gola. «Aveva la rara facoltà di rendere terribile qualsiasi cosa.»
Quando telefonai per la prima volta a Errol, mi parlò per quasi tre ore. Poi, nei successivi due anni, continuò a chiamarmi regolarmente e a inviarmi messaggi. Sembrava ansioso di descrivere le cose belle che aveva offerto ai figli nei periodi in cui la sua società andava bene, e mi mandò foto a corredo. A un certo punto della vita aveva viaggiato in Rolls-Royce, costruito un capanno nel bosco con i suoi figli e ricavato smeraldi grezzi da una miniera nello Zambia in cui aveva una partecipazione, prima che la sua azienda fallisse.
Ammette, tuttavia, di avere incoraggiato la durezza sotto il profilo sia fisico sia emozionale. «In confronto alle esperienze che [i miei figli] avevano avuto con me, i corsi di sopravvivenza erano una passeggiata» dice, aggiungendo che in Sudafrica la violenza era parte integrante dell’esperienza di apprendimento. «Era più che normale che due ti tenessero fermo mentre un terzo ti picchiava in faccia con un bastone o roba del genere. I bambini che facevano per la prima volta il loro ingresso in una nuova scuola erano costretti ad azzuffarsi con il delinquente dell’istituto.» Dichiara con orgoglio di avere sottoposto i suoi figli a «una disciplina assai severa» per tutto quanto riguardava il cavarsela da soli in queste situazioni. Si premura di aggiungere che «in seguito Elon avrebbe applicato la stessa disciplina severa a se stesso e agli altri».
«Le avversità mi hanno forgiato»
elon musk fa gli auguri di compleanno a andrea stroppa
«Qualcuno una volta ha detto che ogni uomo cerca o di essere all’altezza delle aspettative paterne o di rimediare agli errori di suo padre, e credo che questo possa spiegare la mia particolare malattia» ha scritto Barack Obama nelle sue memorie, intendendo con «malattia» la sua ambizione. Nel caso di Elon Musk, l’influenza del padre sulla sua psiche sarebbe durata a lungo, nonostante i molti tentativi di escluderlo sia fisicamente sia psicologicamente dalla propria vita. L’umore di Elon passa ciclicamente dalla luce alle tenebre, dal melodramma alla stravaganza, dalla freddezza all’emotività, con saltuari tuffi in quella che le persone intorno a lui temono di più, la «modalità diabolica». Diversamente da suo padre, si è dimostrato affettuoso con i propri figli, ma sotto altri profili il suo comportamento ha lasciato più volte intravedere un rischio sotterraneo che andava costantemente neutralizzato: quello, come osserva sua madre, «che possa diventare uguale a suo padre». È questo uno dei tropi più suggestivi della mitologia. In che misura l’epica ricerca di Luke Skywalker, l’eroe di Guerre stellari, comporta anche il bisogno di esorcizzare i demoni che sono retaggio di Darth Vader e di misurarsi con il lato oscuro della Forza?
«Con un’infanzia come quella che ha avuto lui in Sudafrica, credo che in un certo modo sia quasi una necessità blindarsi emotivamente» osserva la sua prima moglie Justine, madre di cinque dei suoi dieci figli. «Se tuo padre ti ripete in continuazione che sei un cretino e un idiota, forse l’unica reazione possibile è di reprimere dentro di te qualunque cosa rischi di aprire le porte a una dimensione emozionale che non hai gli strumenti per affrontare.» Questa valvola di chiusura affettiva lo ha reso spesso insensibile, ma lo ha anche trasformato in un innovatore disposto a rischiare. «Ha imparato a escludere dai suoi orizzonti la paura» dice Justine. «Se metti a tacere la paura, forse devi mettere a tacere anche altre cose, come la gioia e l’empatia.»
Il disagio vissuto nell’infanzia ha inoltre istillato in lui una sorta di avversione al piacere. «Credo che non sappia assolutamente assaporare il successo e godersi il profumo di un fiore» dice la musicista Claire Boucher, che è nota con il nome d’arte di Grimes ed è la madre di tre degli altri figli di Musk. «Penso che i condizionamenti dell’infanzia lo abbiano indotto a considerare la vita sofferenza.» Musk è d’accordo. «Le avversità mi hanno forgiato» conferma. «La mia soglia del dolore è diventata molto alta.»
Nel 2008, quando i primi tre lanci dei razzi progettati da SpaceX erano finiti con un’esplosione e la Tesla stava per fallire, Musk attraversò un periodo difficile. Si svegliava agitando le mani e raccontava a Talulah Riley, che sarebbe diventata la sua seconda moglie, le cose orribili che suo padre gli aveva detto in passato. «Ho sentito con le mie orecchie pronunciare lui stesso quelle frasi» osserva la Riley. «Hanno avuto un effetto profondo sulla psicologia di Elon.» Quando gli tornavano in mente quei ricordi, Musk si estraniava, e sembrava sparire dietro i suoi occhi color acciaio. «Trattandosi di cose che relegava all’infanzia, credo non si rendesse conto di quanto quell’esperienza influisse ancora su di lui» riflette Riley. «Ma Elon ha mantenuto un lato infantile, come non fosse mai cresciuto. Dentro l’uomo c’è ancora il bambino, un bambino costretto a stare in piedi davanti a suo padre.»
Questa congerie di elementi ha creato intorno a lui un’aura che a volte lo fa apparire come un alieno: sembra quasi che la missione su Marte esprima la sua aspirazione a tornare sul pianeta d’origine e che il suo desiderio di costruire robot umanoidi sia in fondo una ricerca di creature affini. Non ci stupiremmo troppo se si strappasse la camicia e scoprissimo, dall’assenza di ombelico, che non è nato su questo pianeta. Ma le difficoltà dell’infanzia lo hanno anche reso del tutto umano, un bambino duro e tuttavia vulnerabile, che ha deciso di imbarcarsi in imprese epiche.
Si coglie in lui una passione che maschera la stravaganza, e una stravaganza che maschera la passione. Vagamente a disagio nel suo stesso corpo, come capita a uomini grandi e grossi che non sono mai stati atleti, cammina con il passo di un orso che abbia un preciso obiettivo in testa e balla gighe che paiono essergli state insegnate da un robot. L’ho sentito parlare con la convinzione di un profeta della necessità di alimentare la fiamma della coscienza umana, decifrare l’universo e salvare il pianeta.
All’inizio ho avuto soprattutto l’impressione che recitasse una parte e che i suoi fossero i tipici discorsi motivazionali e le classiche chiacchiere da podcast di un uomo-bambino che aveva letto troppe volte la Guida galattica per gli autostoppisti. Ma, incontrandolo molte altre volte, mi sono convinto che il senso di una missione da compiere sia parte integrante delle sue motivazioni. Mentre altri imprenditori hanno maturato a poco a poco una visione del mondo, lui ha maturato una visione del cosmo. [...]
ELON MUSKelon musk alla festa di halloween di heidi klum elon musk
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