FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Salvo Palazzolo per www.repubblica.it
“A Milano facevo una vita normale – racconta Giuseppe Graviano, il boss delle stragi, al suo compagno dell’ora d’aria – non mi aspettavo l’arresto, ero circondato da una copertura favolosa. Com’ero combinato io… solo solo il Signore… lo bacio. Mi sono spiegato?”. A un certo punto, però, la rete di protezione saltò. All’inizio di gennaio del 1994, i carabinieri ebbero l’indicazione giusta; la sera del 27 gennaio, fecero irruzione nel ristorante “Gigi il cacciatore”, che all’epoca si trovava in via Procaccini.
Giuseppe e Filippo Graviano erano a cena con le fidanzate (poi sposate in carcere), Bibbiana Galdi e Francesca Buttita. A tavola, c’erano anche due amici arrivati da Palermo, Salvatore Spataro e Giuseppe D’Agostino. Proprio D’Agostino viene citato da Graviano nel corso delle ultime intercettazioni disposte dai pubblici ministeri Di Matteo, Tartaglia, Del Bene e Teresi nell’ambito dell’inchiesta bis “Trattativa Stato-mafia”.
GIUSEPPE GRAVIANO IN BERMUDA NEL CARCERE DI ASCOLI PICENO
«Durante la giornata, arrivano persone a Milano, quelli che mi hanno fatto arrestare ... il giocatore del pallone ... D’Agostino... suo padre». Cosa vuole dire: «Mi hanno fatto arrestare?». I carabinieri avevano pedinato D’Agostino? Come erano arrivati a lui, un insospettabile palermitano che non risultava avere avuto rapporti con esponenti mafiosi? E’ rimasto il giallo di quel brillante blitz. Anche Graviano si chiede ancora come sia stato possibile. «Io non me lo immaginavo mai al mondo che mi arrestavano», ripete al suo compagno di carcere, il camorrista Umberto Adinolfi.
«Non avevano manco la mia fotografia, nella perquisizione a casa mia non avevano trovato neanche la foto della prima comunione. Sono dovuti andare a prendere il pentito Drago. “E’ lui?”. Si è lui, ha una cicatrice». Al pentito Giovanni Drago era stata fatta vedere una fotografia prima del blitz.
Chi sapeva che D’Agostino sarebbe andato a Milano? La sentenza del tribunale di Palermo che ha condannato l'ex senatore Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa ha sostenuto che il figlio di D’Agostino doveva fare un provino al Milan, grazie all’interessamento dei Graviano presso Dell’Utri (nella cui agenda del 1992 c’era un riferimento a D’Agostino: “Melo Barone - 10 anni - in ritiro pullman del Milan, interessato D’Agostino Giacomo (Patrassi – Zagatti)”. In appello, però, la corte di Palermo ha demolito questa ricostruzione e assolto Dell’Utri dall’accusa di aver intrattenuto rapporti con Cosa nostra dopo il 1992. Resta il giallo. Perché uno degli preparatori sportivi del Milan, interrogato dai carabinieri nel 1994, aveva confermato di aver visto il figlio di D’Agostino 15 giorni prima.
Chi tradì Graviano? Anche il boss rinchiuso al 41 bis vuole saperlo. Ricostruisce i passaggi di quel giorno: «Ero stato prima all’Upim, a piazza Duono, tipo l’Upim… la Rinascente… una vita normale». E dice ancora: « Mi hanno arrestato e sono finite tutte cose». “Tutte cose”. Ovvero, le stragi.
L'ODIO PER FALCONE
Graviano è un fiume in piena. In un altro dialogo se la prende con il giudice Giovanni Falcone. «Se campava Falcone, altro che 41 bis». È un odio viscerale quello di Giuseppe Graviano nei confronti del giudice simbolo della lotta alla mafia. «Quando era alla direzione nazionale antimafia aveva proposto di costruire in tutte le carceri delle celle sotterranee dove mettere tutti i condannati al 416 bis. Anche quelli che dovevano fare una pena di cinque anni».
Le intercettazioni fatte dal centro operativo Dia di Palermo nel carcere di Ascoli Piceno rivelano parole che più chiare non potrebbero essere: «Il 41 bis era stato preparato prima delle stragi… non è stato Alfano a fare il 41 bis, è stato lui».
marcello dell utri libri antichi
“Lui”, Giovanni Falcone, il nemico numero uno di Cosa nostra. «Voleva che si dovessero scontare le pene in queste celle sotterranee – dice ancora il boss al suo compagno carcere – anche perché non c’erano queste norme comunitarie. E lui diceva: “Io non ho figli per colpa che ho combattuto la criminalità organizzata… si spaventava se succedeva qualcosa – commenta ancora – lui non ha fatto figli sai. Poi si è sposato con una donna divorziata, la Morvillo, che non aveva figli”». Il boss fa una pausa e dice: «Se campava lui, altro che 41 bis». Ovvero, con Giovanni Falcone, le norme antimafia sarebbero state ancora più severe.
A Falcone, Graviano contesta anche di aver “aggiustato” il maxiprocesso. «Falcone gli ha detto dovete fare questo… l’unico che lo deve fare deve essere Scopelitti, poi Scopelliti lo hanno ammazzato». Era il magistrato calabrese che avrebbe dovuto sostenere la pubblica accusa in Cassazione, per il primo grande processo alle cosche. «Dopo che l’hanno ammazzato, gli hanno messo un altro peggio di Scopelliti», aggiunge Graviano. La partita in gioco era alta, far saltare l’ipotesi dell’associazione mafiosa. «Se andava bene la Cassazione – dice il capomafia – se il 416 bis non esiste a Palermo, non esiste nelle altre parti».
UN GIUDICE A BERLINO
Ora, Giuseppe Graviano dice di cercare «un giudice a Brancaccio», che finalmente gli riconosca di uscire dal carcere. Ma continua ad essere sfiduciato. «Palermo è brutto. Palermo è brutto come tribunale. Hanno direttive dal ministero, di condannare così… di fare i processi così, proprio con i piedi ». Eppure il suo scopo resta sempre uno. «Il mio unico pensiero è uscire dal carcere». La moglie gli ricorda che sta scontando “l’ergastolo ostativo”, quello che non ammette sconti. Ma lui insiste. E spera in una soluzione. In qualche modo. Una soluzione politica.
Graviano racconta che negli anni Ottanta i mafiosi avevano provato a strumentalizzare il lavoro importante di Marco Pannella, da sempre impegnato a rendere più vivibili le carceri italiane. «L’ho votato sin dal primo momento che sono stato carcerato questo Pannella - dice Graviano - fino al 2002, che ho avuto diritto al voto». Il boss fa un resoconto delle sue passioni politiche.
giovanni falcone paolo borsellino lap
Prima la Democrazia Cristiana («Perché avevamo amico, senatore, amico di famiglia, purtroppo l’hanno arrestato nel 1994»; potrebbe essere un riferimento al senatore Vincenzo Inzerillo), poi Forza Italia («Quando è nata Forza Italia, alla prima votazione»). Infine, il Partito Radicale: «Quando stava fallendo - spiega Graviano al camorrista Umberto Adinolfi - Pannella è andato all’Ucciardone. 1987, 1988, non mi ricordo bene... e non solo. E tutti hanno versato un contributo per sanare le casse del Partito Radicale». Aggiunge: «Se fossi in condizioni mi iscriverei al partito. Sai quant’è all’anno?».
LA REPLICA DEL PARTITO RADICALE
Dice Sergio D'Elia, membro della presidenza del Partito Radicale e segretario di Nessuno Tocchi Caino: «In base ad una regola semplice e senza eccezioni del Partito Radicale per cui si può iscrivere chiunque e nessuno può essere espulso per nessun motivo, per noi del Partito di Marco Pannella non ci sarebbe alcun problema ad accogliere l'iscrizione di Giuseppe Graviano. Così disse Marco Pannella nel lontano 1987: «Anche Piromalli può entrare nel partito che è servizio pubblico.
Chi vuole, paga il biglietto e viaggia, per una anno, verso dove la diligenza si dirige. Il “viaggio” è promiscuo, possono salire sulla diligenza radicale anche i “cattivi” che spesso, proprio loro, salvano gli inermi».
Dice ancora D'Elia: «Il Partito Radicale non è un tribunale della Sharia chiamato a stabilire il “prezzo del sangue” versato, a perseguire i “nemici di Dio” e i “corrotti in terra”, a “reprimere il vizio e promuovere la virtù”. A dispetto del “fine pena: mai” dell’ergastolo ostativo, un marchio indelebile che vuol dire “tu non cambierai mai”, molti detenuti sono cambiati».
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