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Fiorenza Sarzanini per “il Corriere della Sera”
Il giorno della scomparsa di Yara Gambirasio, Massimo Giuseppe Bossetti non andò a lavorare. Quel pomeriggio, pochi minuti prima che la tredicenne fosse portata via, il suo furgone girava intorno alla palestra dove la giovane era andata a portare uno stereo. È l’ultimo tassello inserito dagli investigatori nell’inchiesta contro il muratore accusato di aver sequestrato e poi ucciso la ragazzina.
E rappresenta una clamorosa smentita al racconto fatto dall’indagato durante gli interrogatori davanti al giudice, quando ha negato di essere l’assassino e poi ha ricostruito i propri movimenti del 26 novembre 2010, affermando senza esitazione: «Passavo dalla zona del centro sportivo perché tornavo dal cantiere di Palazzago e andavo a casa».
IL TRAGITTO DAL CANTIERE
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È il 19 giugno scorso, tre giorni dopo il fermo. L’uomo risponde alle domande del gip Ezia Maccora che deve decidere sulla convalida del provvedimento di cattura e si dichiara «innocente» pur ammettendo di non poter spiegare come mai il suo Dna sia stato trovato sui leggins e sugli slip della vittima. Quel giorno, racconta, «sono andato al lavoro e la sera sono rimasto a casa con mia moglie e i miei figli».
Lo dice con sicurezza, tanto che il giudice gli chiede come faccia a ricordare i dettagli. Lui non si scompone: «Faccio sempre le stesse cose, sono un abitudinario». In realtà le verifiche effettuate successivamente avrebbero dimostrato che la vita del muratore non era proprio così metodica. Più volte si sarebbe assentato dal lavoro. E, dettaglio fondamentale per l’indagine, anche quel pomeriggio non risulta essere stato in cantiere.
bossetti arrestato per l omicidio di yara gambirasio
Sono stati i carabinieri del Ros e i poliziotti dello Sco a ricostruire gli spostamenti dell’uomo il giorno della scomparsa di Yara proprio per verificare l’attendibilità delle dichiarazioni difensive. Hanno acquisito i tracciati lasciati dal telefono cellulare, che disegnano il percorso compiuto dal muratore. Ma la svolta è arrivata incrociando le testimonianze dei colleghi di Bossetti, concordi nel ricordare che lui quel pomeriggio non c’era. E dunque utili a smontare quanto affermato dall’indagato. Il resto lo hanno fatto le telecamere piazzate nella zona della palestra.
IL FURGONE PASSA ALLE 18,30
I controlli effettuati subito dopo la sparizione della ragazzina consentono di affermare che le sue tracce si perdono alle 18,49 quando riceve un sms da una sua amica al quale non risponde. In quel momento il suo cellulare aggancia la stessa cella agganciata dal telefonino di Bossetti circa un’ora prima, esattamente alle 17,45. Le verifiche stabiliscono che l’uomo parlava con il cognato, lui aggiunge che l’ha fatto mentre stava tornando a casa. Ma questa volta a smentire la sua versione sono i filmati registrati da più postazioni.
La relazione dei carabinieri del Racis guidati dal generale Pasquale Angelosanto è di fatto terminata. E fornisce elementi precisi sul tragitto di quel furgone, individuato grazie a un particolare accessorio: un catarifrangente non di serie che Bossetti aveva montato sul retro del mezzo. Il primo passaggio viene «registrato» dalla telecamera piazzata su una banca. Alle 18,01 lo inquadra poi quella che si trova sul pilone del distributore di benzina a pochi metri dalla palestra. Ma non è finita: mezz’ora dopo è ancora lì, ripreso dalla telecamera di una società privata che ha la sede di fronte al centro sportivo.
GLI APPOSTAMENTI E I CONTROLLI
Quanto basta per rafforzare la convinzione degli investigatori che stesse aspettando proprio la ragazzina, che — come sarebbe accaduto anche nei giorni precedenti — l’abbia pedinata, controllata, forse addirittura avvicinata prima di decidere di farla salire sul furgone e portarla verso il campo di Chignolo d’Isola dove il suo corpo straziato è stato ritrovato tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011. Sono le testimonianze di commercianti e residenti della zona, incrociate con il tracciato dal suo telefonino, a dimostrare come il muratore fosse spesso nei pressi del centro sportivo frequentato da Yara.
«Andavo da mio fratello e dal commercialista», si è difeso Bossetti. Ma le verifiche compiute dagli investigatori hanno stabilito che le «visite» erano rare e saltuarie, mentre la sua presenza nella zona risulta costante, soprattutto nelle settimane precedenti la sparizione della ragazzina.
L’ISTANZA E L’ERRORE DI NOTIFICA
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«Non sono io, dimostrerò l’errore», ripete l’indagato dal carcere di Bergamo. Nei giorni scorsi i suoi avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni avevano presentato istanza di scarcerazione per mancanza di indizi, ma ieri il giudice non ha potuto pronunciarsi: i legali non l’hanno infatti notificata ai genitori di Yara, come prevede il codice, dunque è stata dichiarata inammissibile.
La presenteranno nuovamente, intanto la procura valuta la possibilità di stringere i tempi e andare al giudizio immediato entro i 180 giorni dall’arresto, quindi saltando l’udienza preliminare. È una procedura che può essere sollecitata quando l’indagato è detenuto, il pubblico ministero Letizia Ruggeri attende il deposito di tutte le relazioni tecniche che dovrebbe avvenire entro la fine di novembre e poi comunicherà la sua decisione.
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