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BRUXELLES GHOST-CIY/2 – NELLA CAPITALE BELGA CONVIVONO TRE CITTÀ: QUELLA CHE RUOTA INTORNO ALL’UNIONE EUROPEA, QUELLA DIVISA TRA FIAMMINGHI E VALLONI E QUELLA DEGLI IMMIGRATI NORDAFRICANI – UN PATTO NON SCRITTO AVEVA CONSENTITO AL “BELGISTAN” DI FARE QUELLO CHE VOLEVA, FINO A IERI...

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Andrea Bonanni per “la Repubblica

 

MOLENBEEKMOLENBEEK

Tra le stazioni della metropolitana sbarrate, le strade commerciali deserte, i grandi viali senza traffico, i cinema chiusi, i treni cancellati, le birrerie desolate e i bar della movida semivuoti Bruxelles si scopre capitale di un’altra Europa. È l’Europa della jihad: il continente finora inesplorato del loro odio e della nostre paure. Un mondo del sottosuolo cresciuto all’ombra della capitale comunitaria.

 

Quella città benestante, borghese, consumista ed efficiente, che efficientemente preferiva guardare da un’altra parte. Adesso tutti corrono a Molenbeek, a scoprire i segni di una indigenza dignitosa e di una distanza culturale siderale, che trasforma i pochi chilometri tra il “quartiere dei terroristi” e la Grand Place in anni luce di un abisso temporale che inghiotte tutte le speranze e le illusioni su cui avevamo costruito la nostra Europa. Arrivano giornalisti e telecamere.

 

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Ma soprattutto arriva la polizia, che ora vorrebbe rastrellare la zona «casa per casa» ma che per anni ha campato sull’equivoco di mondi che promettevano di non incrociarsi. Non di convivere, perché ogni convivenza tra la capitale dell’Europa e la capitale della jihad sarebbe impossibile, ma di ignorarsi. Una conveniente politica dello struzzo, una schizofrenia di comodo facilitata da un Paese, il Belgio, in cui giornali e televisioni praticamente ignorano la cronaca nera, pur avendo uno dei tassi di criminalità più elevati d’Europa.

 

ARRESTI A BRUXELLES MOLENBEEKARRESTI A BRUXELLES MOLENBEEK

Per anni, mentre il tumore del radicalismo islamico si ingrossava non solo a Molenbeek ma anche negli altri quartieri popolari della capitale, Bruxelles ha campato su una sorta di patto non scritto che prevedeva la totale separazione dei due mondi, anzi dei tre mondi che scorrono ignorandosi lungo le rive da tempo interrate della Senne.

 

C’è il mondo di sopra, la città europea degli “expat”, come elegantemente si definiscono i nuovi emigranti della società opulenta: funzionari, lobbisti, diplomatici, giornalisti, gente del Parlamento, della Commissione, della Nato. Un microcosmo che basta a se stesso, tra riunioni ministeriali, cortei di auto blu scortate dalla polizia, sedute parlamentari, convegni, dibattiti, feste e una movida ininterrotta che fonde tutte le lingue del Vecchio Continente in un inglese artificiale che solo i veri inglesi non riescono ancora a parlare.

MolenbeekMolenbeek

 

Poi c’è il mondo di mezzo, la Bruxelles belga, capitale di uno stato piccolo e borghese, eternamente diviso tra fiamminghi e valloni. È anche quello un mondo separato, che educatamente ignora il mondo di sopra e civilmente cerca di ignorare il mondo di sotto, che garantisce entrambi e al contempo li sfrutta economicamente evitando per quanto possibile di incrociarli e di farsene interpellare.

 

Molenbeek Molenbeek

Infine c’è, appunto, il mondo di sotto: fatto di donne velate e di uomini in djellaba. All’inizio gente venuta dal Nordafrica ai tempi dell’ultima industrializzazione e rimasta arenata tra queste brume ostili quando l’industrializzazione se ne è andata con le sue promesse. Più spesso gente nata qui, figli e figlie di emigranti rimasti sospesi tra due mondi, rifiutando entrambi. Un universo che, finito il miraggio del benessere, non ha potuto o voluto ripercorrere il viaggio verso le terre di origine. Ma che spesso ha creduto di poter sostituire il mancato ritorno in patria con una riscoperta delle proprie radici identitarie e religiose. Con l’unico risultato di accentuare il proprio straniamento.

 

Molenbeek  Molenbeek

È in questo mondo che la Jihad ha fatto proseliti. È da qui che sono partiti centinaia di foreign fighters per combattere con le milizie di Daesh. Come dalle banlieues francesi, come da certe inner cities inglesi. Ma in quei casi esiste una separatezza, anche geografica, che rende più visibile, se non comprensibile, la distanza culturale. Invece qui a Bruxelles la capitale europea, la capitale belga e la capitale del radicalismo islamico coincidono, condividono le stesse strade, gli stessi autobus, la stessa metropolitana, gli stessi centri commerciali.

 

ALLARME TERRORISMO BRUXELLESALLARME TERRORISMO BRUXELLES

Per un periodo, sicuramente troppo lungo, il patto non scritto della reciproca estraneità ha funzionato. A modo suo: voi ignorate i cortei di auto blu dei capi di stato e girate al largo dai palazzi divetro dell’Europa, noi evitiamo di mettere il naso nelle moschee e nelle madrasse di Molenbeek, tralasciamo di scrivere degli scippi e delle aggressioni, tolleriamo i bar dove si spaccia e non riempiamo le prigioni oltre il ragionevole. Bisogna riconoscere che l’accordo è stato rispettato da entrambi i contraenti.

 

L’unico attentato islamico, l’assalto al museo ebraico di Bruxelles, è stato compiuto da uno arrivato dalla Francia. I luoghi del potere europeo non sono mai stati scalfiti, le auto blu dei primi ministri hanno potuto andare e venire indisturbate. Fino all’ultimo: quando hanno voluto colpire, i terroristi di Molenbeek sono andati a Parigi.

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Ma tutte le forme di schizofrenia devono, alla fine, fare i conti con la realtà. Già dopo il massacro di Charlie Hebdo, la polizia belga ha dovuto entrare in azione dando l’assalto ad un paio di covi a Molenbeek e Verviers. Dopo Parigi, la guerra è divenuta inevitabile.

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L’assurda extra-territorialità di Bruxelles, capitale dell’Europa e del suo contrario, non poteva più durare. E infatti non è durata. Adesso, tra viali deserti, treni fermi, negozi chiusi e soldati per strada, possiamo misurare il prezzo di questa gigantesca rimozione collettiva. E chiederci se Bruxelles riuscirà mai a tornare solo la capitale dell’Europa che avremmo voluto.