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Paolo Di Paolo per “la Stampa”
alba parietti aldo busi i duellanti
Dice che non gli capita spesso di parlare dei suoi libri. Dice che non gli capita spesso di parlare, in assoluto, e che il massimo che gli chiedono, incontrandolo, è come mai da un po' non si vede in tv. Aldo Busi si definisce un mammut in via d' estinzione, ed è convinto che - se dovesse esordire oggi - «nessuno pubblicherebbe un romanzo come Seminario sulla gioventù».
Lo pubblicò l' Adelphi nel 1984, dopo un anno di incertezze, «con qualcuno in famiglia che faceva avanti e indietro per i corridoi della casa editrice, cercando di bloccarne l' uscita».
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Oggi evoca quel libro con distacco e non ne sopporta troppo i «fan più devoti e monomaniacali»: «È solo un bellissimo e inusuale romanzo, i miei capolavori sono altri, per esempio Vita standard di un venditore provvisorio di collant, La Delfina Bizantina , El especialista de Barcelona … Mi sembra di non aver scritto e pubblicato che capolavori».
«A scrivere Seminario , nella testa e poi su carta, impiegò diciassette anni, con una lentezza che bilanciava la fretta in altre cose imprescindibili della vita, quali mantenersi e trovare un tetto. Via di casa poco più che ragazzino, «ragazzo di fatica» in giro per l'Europa, sguattero, lavapiatti, «factotum direi, dove c' era bisogno andavo».
Lavori umili? È una definizione idiota, esistono semmai solo lavori mal pagati. Non ho mai pensato che stavo sopravvivendo: era la vita normale che facevano quelli della mia generazione senza campi da coltivare, mucche da mungere e non tagliati per la fabbrica, e senza la fortuna di genitori benestanti, e senza nemmeno quella somma di essere orfani».
Non gli va di insistere sull' aneddotica dell' autodidatta, quello senza libri in casa, un padre oste democristiano ex fascista «con la perversione della politica quale verità in tasca, mandava via dal locale chi non la pensava come lui. Dove mia madre costruiva, lui distruggeva».
SEMINARIO SULLA GIOVENTU DI ALDO BUSI
Non gli va nemmeno di spiegare in che modo sia riuscito a conquistarsi la lingua bellissima di Seminario e dei libri seguenti, a parte che considera il dialetto la sua lingua madre e l' italiano la sua prima lingua straniera appresa.
«Non sono mai stato preso dalla fretta di concludere una trama, dovevo lavorare di bulino sul resto, per me una frase è sempre un' opera di oreficeria, anche quella più sciatta è voluta, non sono sciatto neanche se mi ci metto d' impegno».
Fatto è che Seminario resta un libro folgorante fin dall' incipit: «Che cosa resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza».
Una volta ha ammesso che non gli dispiaceva il pensiero di un sedicenne che, fra cent' anni, peschi da uno scaffale Seminario e ne venga conquistato, «come io alla sua età da certe letture, mai di italiani, mai di abatini di corte anche miei contemporanei».
Lui forse non lo sa, ma quel romanzo - una Recherche contadina e nomade, senza pruderie, senza sangue blu - guadagna sempre nuovi e giovanissimi ammiratori. E comunque, Busi ha da rimproverare molto a Proust («non ci dice mai niente dell' origine dei soldi dei suoi aristocratici»): nell' ultimo libro, Vacche amiche (Marsilio), dice di Marcel che «lui le madeleine le mangiava solo, io le sarchiavo le aravo le seminavo le falciavo le trebbiavo le macinavo le setacciavo».
Ragazzo del bar Pinguino Aldo prima di diventare Busi era «il ragazzo del bar Pinguino, in via Verri a Milano, dove noi dell' Adelphi andavamo a prendere il caffè tutti i giorni verso le undici». Così lo ricordava Piero Bertolucci, a cui quel ragazzo consegnò cinquecento pagine fitte con il titolo Il Monoclino . Passò parecchio tempo prima che diventasse Seminario sulla gioventù.
«Oggi si trova nei tascabili Rizzoli e, da quel che so, viene soprattutto preso in prestito nelle biblioteche, senza che per questo mi venga riconosciuto un euro. Non le pare un furto? Pirateria bell' e buona di lunga data. Come posso contribuire alla letteratura del mio Paese, se il mio Paese contribuisce a distruggere chi la fa? Comunque è andata, per me s' è fatto tardi, ci penserà qualcun altro, cioè mai più nessuno».
Insiste a chiedersi se ce la farà mai l' Italia a essere al passo con Seminario sulla gioventù : «Un Paese paralizzato come l' Irlanda raccontata da Joyce, fra lo statalismo, il colonialismo e la Chiesa, mai uscito dalla Controriforma, una nazione di vittime contente che non hanno voglia di nessun cambiamento».
Una coscienza etica Si sente, parlandogli, che troppe cose lo indignano, che tutto gli sta a cuore, non si distrae mai, la sua intelligenza ha una velocità impressionante, brucia come acido. «Ci vuole molta forza di carattere per essere Aldo Busi», dice, «l' integrità di una coscienza etica non mediabile non è una cosa che si improvvisa».
Non ha da dire grazie a maestri o maestre, non ha frequentato più di tanto il cosiddetto mondo intellettuale e mondano, «ho capito molto presto che avevo tutto da perdere e niente da guadagnare. Vanitoso con qualche sforzo o per cortesia, sì, vanaglorioso no. Ho cambiato molti editori perché non ricordo un solo editor che avesse una qualche valenza intellettuale e pertanto civile».
Non la gloria, ma i soldi Una settimana dopo l' uscita di Seminario, si presentò all' Adelphi con il dattiloscritto di Vita standard: «Mi fu detto che prima di due anni non se ne parlava nemmeno, e non avevano alcuna intenzione di sborsare un anticipo, nemmeno simbolico come fu quello per Seminario (800 mila lire, una miseria).
in tutta segretezza andai allora alla Mondadori, il direttore di collana era Alcide Paolini: il romanzo fu letto e ne furono entusiasti, mi diedero il massimo allora possibile, dieci milioni, io ne pretesi venti e Paolini mi disse che non era proprio pensabile, col cuore in gola ripresi il dattiloscritto dalla scrivania pronto a girare i tacchi ma lui mi fermò, nel giro di venti minuti fu approvata la somma da me richiesta (il romanzo rientrò ampiamente dell' anticipo).
E da allora è vero che la Mondadori non mi ha dato la gloria però mi ha dato i soldi con una puntualità, una correttezza, talvolta una generosità esemplari, mentre l' Adelphi non mi ha dato né l' una né gli altri.
Seminario vendette pochissimo e all' estero lo vendetti io di persona, loro firmarono solo le carte, e del resto cosa rimane di tutta l' Adelphi che abbiamo creduto che fosse? Seminario sulla gioventù e poco altro, di cui parecchio in absentia : i libri di Busi che non pubblicarono».
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