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Alberto Crespi per “la Repubblica”
Il festival di Cannes chiude i battenti con gli ultimi due film in concorso: Un petit frère della francese Léonor Serraille e Showing Up dell'americana Kelly Reichardt. E domani si assegna la Palma del 75esimo. Chi la vincerà? Bisognerebbe fare uno squillo a Vincent Lindon, presidente di giuria, ma dubitiamo che risponderebbe.
Quindi si tira a indovinare: le logiche delle giurie sono misteriose e, soprattutto, sono diverse sia dalle preferenze della critica (e ci mancherebbe altro) sia dai gusti del pubblico. L'ultima parte della carriera di Lindon, che insieme con il regista Stéphane Brizé ha realizzato alcuni dei film più "di sinistra" degli ultimi anni, spingerebbe a ipotizzare un premio "politico".
PIERFRANCESCO FAVINO IN NOSTALGIA DI MARIO MARTONE
Ma andrà così? I giurati sono nove, e votano a maggioranza. Anche le loro nazionalità (l'iraniano Asghar Farhadi, l'italiana Jasmine Trinca) potrebbero rivelarsi indizi fallaci. Non sempre i giurati seguono la geopolitica. A volte, incredibile a dirsi, premiano i bei film.
E chi premieremmo, noi? Fermo restando l'amore per Nostalgia di Mario Martone, noi premieremmo Valeria Bruni Tedeschi. Con Les Amandiers ha realizzato un inno al teatro e alla gioventù, ricordando la frequentazione della scuola teatrale di Patrice Chéreau, nella Francia degli anni 80. C'è però un dettaglio curioso: fra i tanti bravissimi ragazzi che compongono il cast c'è Suzanne Lindon, figlia di Vincent e dell'attrice Sandrine Kiberlain.
Che farà, Vincent? Prevarranno il cuore di papà o gli scrupoli sui conflitti d'interesse? Les Amandiers è comunque bellissimo, e ritorna nei rumors della vigilia, nei pronostici (per quello che contano) dei giornalisti e delle testate specializzate, assieme ad altri titoli: Triangle of Sadness dello svedese Ruben Ostlund, Broker del giapponese Kore-eda Hirokazu (girato però in Corea del Sud); o di altri habitués cannensi come James Gray ( Armageddon Time).
Del resto Cannes è così: tende a mettere in concorso sempre i soliti noti. Anche a costo di infliggere al mondo autentiche schifezze come Fratello e sorella di Arnaud Desplechin e Stars at Noon di Claire Denis, due francesi super-pompati in patria e, in questi due film, fallimentari.
les amandiers di valeria bruni tedeschi 2
In generale, cosa ha detto la prima vera Cannes post-pandemia sullo stato di salute del cinema? Semplice: che il cinema non sta bene. Molti film sono lunghissimi, frammentari, sbrodolati. I motivi principali sono due: la moda della serialità, che spinge a dilatare le narrazioni, e la scomparsa della pellicola. Che c'entra la pellicola, direte voi? L'immagine digitale è sempre un'immagine, no?
No. Con il digitale, molti registi girano ore e ore di materiale, visto che il costo della pellicola non è più una voce del budget. Sono ormai merce rara il dono della sintesi, la capacità di focalizzare i film su ciò che è davvero cruciale. Un film passato ieri, Pacifiction del catalano Albert Serra, è l'esempio più clamoroso.
Il tema ci sarebbe: la crisi esistenziale di un diplomatico francese in Polinesia, nel momento in cui la Francia minaccia di riprendere i test nucleari nella zona. Ma nell'arco di quasi tre ore il film si perde in digressioni incomprensibili e in dialoghi girati in tempo reale che stroncherebbero la pazienza di Giobbe. Hitchcock diceva che il cinema è la vita senza i tempi morti.
A Cannes troppi film fatti solo di tempi morti sono in lizza per la Palma. Il che fa paura, in vista del verdetto. Ma le Palme passano, i film restano. E alcune delle cose più belle viste a Cannes 2022 non erano in concorso: Effetto notte di Bellocchio, Elvis, il documentario Moonage Daydream su David Bowie e il film di montaggio Storia naturale della distruzione, sulla seconda guerra mondiale, dell'ucraino Sergej Loznitsa. Per non parlare di Top Gun: Maverick. Quello, i tempi morti, non sa nemmeno cosa siano.
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