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CI SCRIVE UN AVVOCATO DIFENSORE DEI FERROVIERI IMPUTATI PER LA STRAGE DI VIAREGGIO: ''GRAZIE A MUGHINI CHE ROMPE LA MONOTONA IPOCRISIA DELLA MAGGIORANZA. IL PROCESSO ORMAI NON È QUELLO STUDIATO NELLE UNIVERSITÀ, NON È SCRITTO NEI TESTI MA DALLE TESTATE AUTOREVOLI E DA UN’OPINIONE PUBBLICA ANSIOSA E DESIDERANTE. OGGI NON RIGUARDA IL CITTADINO IMPUTATO, MA LE VITTIME CHE HANNO TROVATO UNO SPAZIO PER IL DOLORE E CHIEDONO IL RICONOSCIMENTO DEL LORO DRAMMA UMANO. UNA VENDETTA COLLETTIVA''

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Riceviamo e pubblichiamo:

 

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Gentile dottore Mughini,

ancora una volta un suo articolo, quello di ieri sul disastro ferroviario di Viareggio, rompe la monotona ipocrisia della maggioranza, un tempo silenziosa ma oggi assordante.

 

Giovedì la corte di appello di Firenze ha confermato la responsabilità dei vertici ferroviari italiani. Era questa l’invocazione collettiva, e ogni soluzione diversa sarebbe stata letta come un cedimento della giustizia, con  interrogazioni parlamentari come qualche mese addietro per riduzioni di pena, con perplessità sui giudici insubordinati come quanto avvenuto ad Avellino dove il vertice aziendale è stato assolto per un disastro autostradale.

 

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Questo, dobbiamo prenderne atto,  è il codice attuale del processo, quello non studiato nelle università, non scritto nei testi ma dalle testate autorevoli e da un’opinione pubblica ansiosa e desiderante. Nel passato, e avrebbe dovuto essere ancora, il processo riguardava il cittadino imputato, con le garanzie e i drammi personali. Oggi il processo è il luogo delle vittime che hanno trovato uno spazio al dolore nelle aule e chiedono riconoscimento del loro dramma umano.

 

Ma i linguaggi sono diversi: quello del dolore non ha soluzione, sarà sempre inappagato perché non restituirà la persona cara scomparsa o il danno reale subito, ogni verdetto diverso dalla condanna e per di più severa sarà sempre vissuto come una sconfitta. Il linguaggio del processo è invece quello delle regole, dell’equilibrio (non a caso il simbolo è la bilancia), della ‘distanza emotiva’ per dirla con Calvino.

 

giampiero mughini

Del resto le foto dell’aula anche di ieri, con 32 magliette raffiguranti i volti dei deceduti appoggiate sulle seggiole, era straziante per i familiari. Ma lo era anche per gli imputati che si rendevano conto di doversi confrontare con la percezione di quella tragedia e con magistrati che non si sottraevano a quella vista e all’empatia che quelle magliette generava. E noi difensori eravamo consapevoli che la richiesta collettiva era la condanna, era il capro espiatorio, era la vendetta legalizzata.

 

Eravamo e siamo convinti di aver ragione, ma questo non basta perché è indispensabile trovare un giudice che te la dia. E aggiungo, abbia anche il coraggio di dartela . I tedeschi, pur colpevoli a forte intensità, non bastano, deve essere coinvolta anche l’azienda italiana più antica e prestigiosa. Anche perché i tedeschi se ne stanno in Germania senza danni come insegna la vicenda Thyssen. E allora che vendetta è se qualcuno non va in prigione realmente?

 

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Alberto Mittone, difensore di alcuni imputati ferroviari